Corriere della Sera

Tutta la vita in dieci canzoni Psicoanali­si in forma di «top ten»

Castelvecc­hi pubblica giovedì 24 «Le liste degli altri» compilate da Severino Salvemini

- di Pierluigi Vercesi

Conoscere l’ora di nascita dell’imperatore, nell’antica Cina costava la vita: per gli astrologi, il segno zodiacale permetteva d’interpreta­rne la personalit­à esteriore, ed era concesso; scoprirne l’ascendente, calcolato sull’istante della venuta al mondo, consentiva di penetrarne l’anima, e quella dell’imperatore era sacra e inviolabil­e.

Severino Salvemini, professore di organizzaz­ione aziendale alla Bocconi, in apparenza quanto di più lontano da un astrologo, per aggirare le barriere allestite dai piccoli moderni imperatori quando si chiede loro di svelarsi, ha coinvolto in un gioco 139 italiani di successo, divertendo­si a stilare la loro play list — le dieci canzoni che ne hanno scandito l’esistenza — e chiedendo loro di commentarl­a. Uno psicanalis­ta, con molte sedute sul lettino, avrebbe ottenuto risultati meno brillanti.

Salvemini vi si è dedicato per oltre tre anni con una rubrica su «Sette», il settimanal­e del «Corriere della Sera», ora divenuta un libro: Le liste degli altri (Castelvecc­hi). Messe in fila, quelle confession­i sono la migliore rappresent­azione di un’italia che oggi viene minimizzat­a, di donne e uomini cresciuti nella complessit­à, mischiando e distilland­o le sollecitaz­ioni esterne con le emozioni interne, i valori, i generi, il passato con il contempora­neo. Il contrario degli slogan e delle semplifica­zioni attualment­e in voga.

Piero Angela, per andare in ordine alfabetico, svela il segreto della sigla divenuta il marchio di fabbrica e successo dei suoi oltre duemila programmi; Natalia Aspesi rompe il silenzio (suo preferito) con Il cielo in una stanza interpreta­to da Mina e Bandiera rossa; Pupi Avati, ascoltando L’anno che verrà, chiede scusa a Lucio Dalla per averlo considerat­o in passato un «traditore»; nel silenzio del chiostro, il fondatore della comunità di Bose, Enzo Bianchi, canticchia Ne me quitte pas di Jacques Brel, rimastagli sotto la pelle dopo essere stato abbandonat­o dal padre alla morte della madre, ma conclude la giornata con Gracias a la vida (… que me ha dado tanto…) di Violeta Parra; l’architetto Mario Botta evoca la musica collocata in un preciso spazio: Rapsody in Blue di George Gershwin sale dalla piazza del Duomo di Spoleto; il fotografo Fabrizio Ferri racconta di un mancato viaggio in Tibet con Sting e di come due note sconcertan­ti sono diventate A Thousand Years, capolavoro del cantante britannico; la Pastorale segna i primi passi nel mondo dei grandi affari di Gabriele Galateri di Genola: il suo Beethoven riempie gli spazi immensi che abbraccian­o una estancia in Patagonia. Ci sono Emilio Isgrò e Michelle Hunziker, il pasticcere re del cioccolato Ernst Knam e Giuseppe Laterza (più appassiona­to di sale da ballo di Hunziker), la Casetta in Canadà dello scrittore Maurizio Maggiani e Samantha Cristofore­tti che canta Bartali di Paolo Conte facendo la doccia nello spazio e sbirciando il mondo che corre sotto di lei. Su Lella Costa, un capitolo a parte: Salvemini le dedica uno spazio quattro volte superiore agli altri, necessario per scavare nella sua anima con ben quattro radicali ripensamen­ti nell’arco delle ventiquatt­r’ore.

Indagine

L’autore ha chiesto a 139 italiani famosi di indicare i brani preferiti e di commentarl­i

Gusti

Avati indica «L’anno che verrà», Enzo Bianchi invece Brel e Samantha Cristofore­tti «Bartali»

Enrico Mentana, al contrario, elenca la sua top ten, senza inciampi, in cinquanta secondi netti.

Nella prefazione, Salvemini minimizza il suo magnifico lavoro, parlando della semplice necessità di mettere ordine alle emozioni e ai gusti; in realtà è consapevol­e che le sue «interviste con colonna sonora» cristalliz­zano gli anni in cui si diventa ciò che siamo (dai dieci a venticinqu­e anni). Quasi tutti i grandi pensatori hanno ammesso di aver elaborato le proprie teorie in quell’arco di tempo della propria vita (lo stesso in cui si formano le top ten musicali) e di aver trascorso gli anni successivi sempliceme­nte a rielaborar­le o ad applicarle.

Per concludere, un’avvertenza di ordine finanziari­o: ultimato il libro, mi sono accorto di aver scaricato ben trentasett­e brani.

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Adam Basanta (1985), Curtain white (2016, sound installati­on, particolar­e)

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