Il giudice maestro di sci che assolve la sua pista
Nel 2012 a Ovindoli un 22enne si schiantò su un cannone innevatore. Il caso al Csm
La tragedia sulla pista da sci di Ovindoli, a L’aquila, risale al 2012. Un giovane morì sul colpo contro un cannone sparaneve messo sul percorso senza protezione. I gestori dell’impianto, tre imprenditori, finirono sotto processo per omicidio colposo e alla fine furono assolti. Solo che oggi si scopre che ad assolvere i tre imputati è stato il giudice Stefano Venturini del Tribunale di Avezzano, che proprio su quella pista faceva il maestro di sci. Il padre della vittima ha presentato una denuncia e il caso è finito sul tavolo del Csm.
ROMA Un giudice assolve tre imprenditori accusati di omicidio colposo per la morte di un ragazzo sulla pista da sci. Passa il tempo, la Procura presenta ricorso e, intanto, dal grande archivio di Internet affiora che quel giudice, durante il tempo libero, insegna a sciare sulla stessa pista gestita da quegli imprenditori. La notizia risulta poi confermata: il magistrato-maestro di sci non ha avuto alcun imbarazzo a pronunciarsi nei confronti degli imprenditori che gestiscono il circuito incriminato, prosciogliendoli. Non sarebbe stato meglio astenersi?
La domanda è stata girata al Consiglio superiore della magistratura dal padre della vittima, Giuliano Sigismondi, che ha presentato una denuncia. La sollecitazione risale all’estate scorsa. Un fascicolo è stato aperto, la prima sezione del Csm ha avviato gli approfondimenti, ma dieci mesi dopo manca ancora una risposta.
Nell’esposto è riepilogata l’intera vicenda di Stefano Venturini, presidente di sezione al Tribunale di Avezzano e insegnante della scuola italiana sciistica «Tre Nevi di Ovindoli» nel tempo libero. «Il giudice risulta in organico nello staff e sul sito si trova la foto dei “maestri di sci” compresa la sua. Come può essere — si domanda Sigismondi — che il giudice non fosse direttamente interessato affinché il buon nome, l’onorabilità e la sicurezza delle piste sciistiche di Ovindoli, non fossero coinvolte da un provvedimento di condanna degli imputati/proprietari/dirigenti di tali strutture?». Il dubbio è lecito anche alla luce degli argomenti sollevati dal pm Guido Cocco nel ricorso contro la sentenza dalla quale emergerebbero incongruenze e addirittura «congetture». ● Stefano Venturini, 56 anni, ex presidente di sezione al Tribunale di Avezzano, poi passato alla Corte d’appello di Roma
Prima, però, il fatto. A gennaio 2012, Edoardo Sigismondi, 22 anni, va a sbattere contro un cannone innevatore posizionato sulla pista di Ovindoli senza protezione. Muore sul colpo. L’inchiesta della Procura di Avezzano accerta «la mancata adozione di misure di sicurezza adeguate per proteggere gli sciatori che usufruivano dell’impianto» e Giancarlo e Massimiliano Bartolotti e Mauro Scipioni, rispettivamente dirigenti e responsabile della sicurezza della «Monte Magnolia Impianti srl» finiscono a giudizio. Venturini chiede una nuova perizia che affida a «un suo compagno di scuola» Enrico Mei, con una specializzazione in psichiatria, il quale raggiunge conclusioni distanti dall’accusa. Secondo Mei il cannone innevatore non c’entra, la vittima avrebbe sbattuto la testa sulla pista ghiacciata. È anche in virtù di tale perizia che il giudice deciderà di prosciogliere gli imputati.
All’orizzonte si profila però il conflitto d’interessi del magistrato. Nel suo ricorso il pm esprime forti perplessità sulla decisione di Venturini che non avrebbe considerato «come la ricostruzione degli eventi che gli sembrava più verosimile contrasti con le stesse leggi della cinetica». E sottolinea come, «assolvendo» il cannone sparaneve e sostenendo che la vittima è morta per aver sbattuto la testa sulla pista ghiacciata, si trascurano due testimonianze cruciali. La prima è di uno sciatore, Davide Palmieri, che «esclude esplicitamente che la neve potesse essere ghiacciata». La seconda è invece di Francesca Scopetta, un’amica di Edoardo Sigismondi, che prestò i primi soccorsi e riferì come, dopo l’impatto con il cannone sparaneve, aveva «cominciato a perdere sangue dal naso e in grandissima quantità dall’orecchio sinistro, circostanza che dimostra inconfutabilmente che la morte è avvenuta solo dopo l’impatto con l’asta sparaneve» e non prima.
La sensazione che si ricava dagli atti è che, oltre a sposare le conclusioni della dibattuta perizia di Mei, il giudice sposi «la tesi prospettata dal consulente della difesa Giuseppe Stornelli». Proprio questo dovrà valutare il Csm al momento di prendere una decisione sul possibile conflitto di interessi di Venturini.