I timori sull’economista anti euro nella partita tra 5 Stelle e Lega
«Lo Stato si riprenda la sovranità». La filosofia dello studioso critico con la Bce
Se Paolo Savona sarà ministro dell’economia, tutto ci si può aspettare meno che sia un mero «esecutore» del programma 5 Stelle-lega. La storia, la caratura e la personalità di questo economista nato 81 anni fa a Cagliari sono tali che sarebbe impossibile comprimerle nella gabbia di un qualsiasi «contratto» di governo.
Le sue posizioni antieuro sono note. Un anno fa, con una lettera al Corriere in risposta a un articolo di Ferruccio de Bortoli sui pericoli che correrebbe l’italia uscendo dall’euro, Savona spiegò: «Per allontanare il rischio di un crollo dell’euro, meglio se deciso e governato da noi, non dai mercati o da altri membri dell’eurosistema, occorre esplicitare chiaramente quali sono le richieste di riforme istituzionali che dobbiamo chiedere all’unione Europea, insieme a un cambio di politica, che non è quella di spendere di più per assistenza, ma per investimenti infrastrutturali. Tuttavia, per avere successo nel negoziato, è necessario che la controparte sia convinta che siamo pronti al passo successivo se non venissimo accontentati. Diffondere terrore economico sulle conseguenze dell’uscita dall’euro, convincendo l’elettorato che non si debba uscire, significa partire perdenti, esattamente come stiamo ora».
Ma di Savona si potrebbero citare anche le posizioni, altrettanto decise, sul consolidamento del debito pubblico, «per abbatterlo di 400 miliardi in un colpo solo» e sul «ricalcolo delle pensioni in base ai contributi versati» o le critiche espresse in passato verso la Bce e la Banca d’italia («esiste un grave problema di domanda, Visco, con Draghi, non ne trae le conseguenze e si accoda alla versione ufficiale che la crisi si corregge con le riforme, ossia operando sull’offerta» scrisse su Formiche.net alla fine del 2014). Prevedibile, quindi, che al Quirinale circoli una certa preoccupazione. Respinta con forza dal leader della Lega, Matteo Salvini, che ha nella sua eminenza grigia, Giancarlo Giorgetti, un fan di Savona. Più possibilista sarebbe invece Luigi Di Maio («se ne occuperà il presidente incaricato»), ma non fino al punto da regalare a Salvini il pretesto per far saltare l’accordo. L’economista eretico, dunque, sembra ancora in gioco.
Savona ha attraversato la Prima e la Seconda Repubblica con ruoli di primo piano. Semplificando, lo si potrebbe definire un rigorista antieuro. Appellativo apparentemente contraddittorio, che invece è il risultato di un credo liberale («leggendo Luigi Einaudi da giovane ho deciso che l’economia sarebbe stata la mia vi- ta», racconta a Vittorio Zincone su Sette nel 2012) che, mettendo al centro la libertà della persona, avversa lo strapotere della finanza.
«La democrazia e lo Stato — ha scritto Savona sul quotidiano il Foglio del 3 marzo 2016 — devono riprendersi la sovranità espropriata da un mercato che non ha le caratteristiche volute dal liberalismo, essendo oligopolistico e iperfinanziarizzato, ossia che non contribuisce alla formazione di una distribuzione del reddito». Su queste basi, Savona, che pure è stato ministro dell’industria nel governo Ciampi (1993-94) e prima ancora direttore del servizio studi della Banca d’italia e direttore generale della Confindustria sotto la presidenza di un altro ex governatore di Bankitalia, Guido Carli, non esita a schierarsi contro i parametri di Maastricht prima e l’ingresso nell’euro poi. Ma non lo fa da antieuropeista, bensì perché vorrebbe un’europa all’insegna dell’unità politica, con al centro i cittadini: una «unione tra eguali» e non «una contabilità pubblica tenuta all’estero da un gruppo di burocrati» (scrive su Mf nel 2017).
Nominato nel giugno del 2005 a capo del Dipartimento per le politiche comunitarie di Palazzo Chigi nel terzo governo Berlusconi, avrebbe in teoria l’opportunità di misurarsi con le sfide da lui stesso lanciate. Ma la legislatura è agli sgoccioli (terminerà il successivo aprile). Ora, invece, è agli inizi.