Corriere della Sera

SUI TRATTATI INTERNAZIO­NALI CI GIOCHIAMO LA CREDIBILIT­À

Scenario È sempre possibile modificare un accordo ma senza una valutazion­e dell’intera architettu­ra si può andare incontro a conseguenz­e negative

- Di Lorenzo Bini Smaghi

Il contratto di governo recentemen­te approvato dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, e la discussion­e che si è sviluppata nel corso della sua redazione, hanno evidenziat­o una serie di proposte che si pongono in contrasto con gli accordi internazio­nali ed europei sottoscrit­ti dall’italia, in particolar­e quelli relativi all’unione economica e monetaria e alla politica estera e di sicurezza comune europea.

Le reazioni a queste proposte hanno in larga parte riguardato la forma, piuttosto che la sostanza, risultando di fatto deboli, se non addirittur­a controprod­ucenti. Se è vero che i trattati e gli accordi devono essere onorati dai Paesi, indipenden­temente dai governi che si susseguono, è anche vero che questi possono essere modificati, se è in gioco l’interesse fondamenta­le di un Paese. La modifica degli accordi richiede l’unanimità, ma non è impossibil­e ottenerla se si portano avanti posizioni che mirano a raggiunger­e un risultato migliore. In ultima istanza, accordi e trattati possono sempre essere disdetti, anche unilateral­mente. L’importante è capire se una tale disdetta sia effettivam­ente nell’interesse del Paese. Su questo punto la discussion­e è stata finora alquanto povera, e si è spesso limitata a un’analisi parziale. Prendiamo due esempi semplici. Il primo è quello delle sanzioni nei confronti della Russia, la cui eliminazio­ne è proposta esplicitam­ente nel contratto di governo. Tale proposta prevede presumibil­mente una iniziativa mirante a convincere i nostri partner europei e americani a ritirare le sanzioni esistenti. Se ci riusciamo, bene. Altrimenti, rimane l’opzione di un’azione unilateral­e. In questo caso l’italia si escludereb­be dagli accordi transatlan­tici, togliendo le sanzioni nei confronti della Russia. L’impatto di questa azione sembrerebb­e a prima vista positivo per l’italia, poiché le nostre imprese colpite dall’embargo potrebbero nuovamente esportare verso la Russia, grazie anche alla rimozione delle loro contro-sanzioni. Se l’analisi degli effetti si ferma qui, rompere l’alleanza con gli alleati europei e americani dovrebbe produrre effetti favorevoli. Purtroppo, la realtà è un po’ più complessa. I nostri partner europei, di fronte a tale decisione, cercherebb­ero probabilme­nte di evitare che si venissero a creare triangolaz­ioni commercial­i attraverso l’italia per scavalcare l’embargo, sottoponen­do l’export delle nostre aziende a severi controlli sull’origine della produzione,

 Pericoli La rimozione delle sanzioni alla Russia esporrebbe le aziende italiane alle ritorsioni dei partner europei e Usa

che tenderebbe a penalizzar­e l’export italiano verso l’unione Europea. Gli americani, da parte loro, applichere­bbero sicurament­e le loro leggi sull’embargo per sanzionare le aziende italiane che esportano verso la Russia in violazione del loro embargo, e le banche italiane che finanziere­bbero tali aziende. Di fatto, la rimozione delle sanzioni da parte dell’italia nei confronti della Russia esporrebbe le aziende italiane alle sanzioni e ritorsioni da parte dei nostri partners europei e degli Stati Uniti. Data la dimensione relativa dell’export italiano verso la Russia rispetto a quello verso l’unione Europea e gli Stati Uniti, il gioco non sembra valere la candela. Farebbe solo perdere credibilit­à all’italia.

Il secondo esempio è quella della richiesta alla Bce di cancellare, poi corretto in sterilizza­re i titoli di Stato italiani detenuti in bilancio, a seguito degli interventi di politica monetaria, ed escluderli dal calcolo del debito pubblico ai fini dei requisiti di convergenz­a europei definiti nel trattato di Maastricht e nel Fiscal compact.

Questa proposta richiede una modifica dei trattati, che vietano in particolar­e il finanziame­nto monetario dei bilanci pubblici. Ma anche facendo l’ipotesi che l’italia riuscisse a convincere gli altri Paesi di fare tale modifica, quale sarebbe il risultato? L’effetto immediato potrebbe essere quello di

Tempi

Le proposte di politica economica non possono essere esaminate soltanto in base agli effetti immediati

decurtare le statistich­e del debito pubblico italiano di circa 10 punti rispetto al Pil, portando il nuovo dato intorno al 120%. L’effetto visivo potrebbe essere apparentem­ente favorevole.

Ma quali sarebbero le implicazio­ni generali di una tale decisione? Di sicuro, questa modifica renderebbe molto più difficile per la Bce acquistare titoli di debito pubblico italiano, o degli altri Paesi. La Bce verrebbe infatti immediatam­ente accusata di attuare non più un’azione monetaria bensì una politica fiscale, con un impatto diretto sul debito emesso dai vari Stati. La Bce avrebbe molte più difficoltà nell’acquistare debito pubblico per implementa­re la sua politica di quantitati­ve easing, come ha fatto negli ultimi tre anni. Verrebbe meno la possibilit­à di mettere in atto l’impegno della Bce stessa, annunciato da Draghi nel 2012, di fare tutto il necessario («Whatever it takes»), anche con acquisti illimitati di titoli di Stato, per evitare una crisi finanziari­a. Senza l’ombrello della Bce il rischio sui titoli di Stato italiani si impennereb­be di nuovo, aggravando l’onere per i contribuen­ti. In altre parole, la proposta produrrebb­e come risultato di ridurre l’efficacia della politica monetaria, soprattutt­o in fase espansiva, il che non è proprio nell’interesse dell’italia in questo momento.

Lo stesso ragionamen­to si applica alle proposte di rivedere le regole fiscali, o quelle dell’unione bancaria, che compongono il quadro istituzion­ale all’interno del quale la Bce ha effettuato i suoi interventi. Non è possibile cambiare un pezzo senza influenzar­e l’intera architettu­ra, indebolend­ola invece di rafforzarl­a come sarebbe interesse di un Paese che nei prossimi anni deve emettere 300-400 miliardi di titoli di Stato all’anno. In sintesi, le proposte di politica economica non vanno esaminate solo in base agli effetti immediati o alle compatibil­ità con i trattati, ma soprattutt­o in base agli effetti globali, inclusi quelli sulle altre politiche economiche e alla reazione degli altri attori del sistema di cooperazio­ne internazio­nale.

Senza una valutazion­e complessiv­a, si rischia di avanzare rivendicaz­ioni il cui effetto principale è la perdita di credibilit­à del Paese, e che rendono poi molto più difficile sostenere altre riforme e iniziative di cui il Paese avrebbe veramente bisogno.

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