Corriere della Sera

IL PASTICCIO E L’AZZARDO

Confronto Sarebbe irresponsa­bile scaricare sul Paese nuove elezioni con una campagna giocata contro Europa e Quirinale per velare la propria inadeguate­zza

- di Massimo Franco

Iriflettor­i illuminano le sbavature nel curriculum accademico di Giuseppe Conte, il candidato premier del Movimento Cinque Stelle. E quella luce accecante impedisce di vedere che l’altro grosso problema del governo nascente, in realtà, è il ministero dell’economia.

Alasciare interdetti non sono solo l’inesperien­za, la l eggerezza politica e i titoli contestati del «tecnico» Conte, oltre alla nebbia che circonda gli interessi di cui è portatore. Sono, almeno altrettant­o, le posizioni contrarie all’euro del professor Paolo Savona, indicato dalla Lega di Matteo Salvini. Di più, issato in cima alla trattativa con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, come un vessillo da difendere a ogni costo: anche quello di far fallire la trattativa.

Di Savona non si può dire che sia un tecnocrate a digiuno di esperienza o sconosciut­o: almeno nei circoli del potere economico. Tra l’altro, è stato ministro quando a Palazzo Chigi sedeva l’ex governator­e di Bankitalia, Carlo Azeglio Ciampi. Ma era uno dei membri di un governo con cromosomi europeisti per antonomasi­a. In un esecutivo M5s-lega, invece, incarnereb­be un approccio anche teorico contro le istituzion­i di Bruxelles e i vincoli finanziari europei. E dunque alimentere­bbe i timori di una destabiliz­zazione di fatto dell’italia e delle sue alleanze. Ci si può anche irritare sulle «invasioni di campo» che arrivano dalle naz i oni al l eate. Eppure erano prevedibil­i.

Sia chiaro: non piacciono a nessuno. E magari, con orgoglio nazionalis­ta e insieme miopia elettorali­stica, le si può anche additare con sdegno per conquistar­e manciate di voti. Questo non toglie che confermano una realtà sgradevole ma inconfutab­ile: l’italia rimane uno dei «vasi di coccio» dell’ue a causa del suo enorme debito pubblico. E fare la voce grossa, presentars­i all’estero « a testa alta » in tono di sfida è un azzardo. A meno che la prospettiv­a di una crisi istituzion­ale e finanziari­a tra Italia e Europa venga vista, all’interno della «diarchia» Di Maio-salvini, come un’opportunit­à e non come una minaccia.

Il ministro dell’economia tedesco, Peter Altmeier, che si informa su chi sarà il prossimo ministro dell’economia a Roma, non può essere solo invitato a farsi i fatti suoi: il destino dell’italia è anche « un f atto suo». Altmeier cerca di capire con chi dovrà trattare la sua nazione nel condominio europeo; e che cosa si dovrà aspettare. E quando confessa di sperare «in un governo pro-europeo come negli ultimi settant’anni » , dice una cosa perfino scontata. Co mela commissari­a al Commercio, Cecilia Malmström, o il vicepresid­ente della Commission­e Ue, Valdis Dombrovski­s, il quale ricorda che l’italia «ha il secondo debito pubblico più alto dopo la Grecia».

Si può anche rispondere a queste constatazi­oni invitando Malmströ ma« andare a lavorare », come ha fatto il capogruppo leghista al Senato, Gian Marco Centinaio. E dire, con Salvini: «Stiano sereni, agli italiani ci pensiamo noi». Il risultato promette di essere solo quello di accentuare le diffidenze sull’anomalia italiana; e proiettare all’estero l’immagine di un pericoloso provincial­ismo o, peggio, di una strategia che non esclude ma quasi cerca la rissa. L’incontro annunciato tra il leader leghista e l’ex consiglier­e del presidente Usa Donald Trump, Steve Ban- non, teorico del «sovranismo» e profeta della fine dell’euro, chiude il cerchio.

C’è da scommetter­e che sarà vis taco mela ciliegia avvelenata, utile a far lievitare i pregiudizi control’ italia della cosiddetta« Terza Repubblica ». Chiedersi, come fa il blog dei Cinque Stelle, «chi ha paura di Giuseppe Conte? » , significa fingere di non capire. Il problema non è solo quello di un premier indicato in maniera a dir poco irrituale; e che, se fossero fondate le smentite di alcuni atenei esteri, avrebbe abbellito « all’italiana » il proprio curriculum, sollevando come minimo un coro di sarcasmo. A stupire è il concetto di un «esecutore» a Palazzo Chigi, privo di margini di autonomia; e di «vincitori» che scaricano sulle istituzion­i l’incapacità o l’impossibil­ità di «metterci la faccia», dopo averlo preteso dagli altri.

La resurrezio­ne di un’ipotesi Di Maio a Palazzo Chigi, col leghista Giancarlo Giorgetti all ’ Economia, appare come il tentativo ragionevol­e ma estremo di uscire da un pasticcio che si avvita su se stesso. C’è solo da sperare che nelle prossime ore il presidente Mattarella riesca a far capire ai suoi interlocut­ori quanto sia alta la posta; e scoraggi la tentazione di far saltare tutto, che può spuntare in chi sembra inebriato dalla prospettiv­a di una messe di voti. Certo, scaricare sul Paese nuove elezioni con una campagna elettorale giocata contro Europa e Quirinale per velare la propria inadeguate­zza, sarebbe irresponsa­bile. Ma ci si dovrebbe chiedere anche come mai il sistema non abbia prodotto gli anticorpi per fermare una simile deriva.

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