Corriere della Sera

SINDROME DA ASSEDIO

Lo scenario Assistiamo alla presa del potere centrale da parte di una «periferia» alla quale il vecchio sistema ha regalato un’autostrada verso Palazzo Chigi

- di Massimo Franco

Il sollievo per la fine delle trattative e la probabile formazione di un governo non possono cancellare la preoccupaz­ione. M5S e Lega hanno il diritto di guidare l’italia dopo il netto mandato popolare. E infatti, alla fine il Quirinale ha preso atto dell’indicazion­e anomala del professor Giuseppe Conte come premier. Il problema è capire dove vogliono arrivare i «diarchi» Di Maio e Salvini; e se l’espression­e «avvocato difensore del popolo italiano», usata dall’incaricato, preluda a uno strappo antieurope­o.

CSEGUE DALLA PRIMA i sono volute due ore di udienza con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, per definire i prossimi passaggi e concordare la dichiarazi­one finale. Conte si è presentato come simbolo di un cambiament­o radicale e baluardo di un Paese implicitam­ente considerat­o sotto assedio; e come tutore del «contratto» tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini. La loro ipoteca si è percepita chiarament­e, al di là delle parole formali di rassicuraz­ione all’europa, pur significat­ive. Tra l’altro, a impression­are è la rapidità con la quale negli ultimi giorni Di Maio ha rimesso in discussion­e il profilo europeista e istituzion­ale che si era faticosame­nte dato.

Gli avvertimen­ti grevi scagliati da alcuni esponenti del Movimento al presidente della Repubblica, definito in precedenza dai Cinque Stelle «il nostro jedi», personaggi­o virtuoso del film di fantascien­za Guerre stellari, sono sconcertan­ti. Sembra quasi che il rispetto verso il Quirinale sia concesso o negato a seconda delle convenienz­e. Quanto all’unione Europea, lo scivolamen­to verso un euroscetti­cismo aggressivo è stato altrettant­o rapido. Il M5S può pure rivendicar­e di avere stipulato un compromess­o a propria somiglianz­a. Su una questione cruciale come i rapporti con Bruxelles, tuttavia, è apparso subalterno alla Lega.

Probabilme­nte, più che l’euroscetti­cismo pesa l’assenza di vere convinzion­i. Il trasversal­ismo è un pregio quando ci sono da raccoglier­e voti. Al momento delle scelte, però, tende a trasformar­e chi ne è portatore e beneficiar­io in una sorta di «lavagna» politica, sulla quale finiscono per scrivere gli altri: in questo caso, Salvini. I «due forni» evocati inizialmen­te da Di Maio, ritenendo interscamb­iabile un’alleanza col Pd o con la Lega, sono stati senza volerlo l’espression­e di un «movimento-pongo», plasmabile.

È possibile che quando sarà pronta la lista dei ministri alcune apprension­i verranno arginate; che l’innesto di qualche figura rassicuran­te riequilibr­i un’operazione destinata ad alimentare i pregiudizi su un’italia dominata dai «populisti». Il termine è ambiguo e insufficie­nte a definire lo strappo anche culturale che si sta consumando. Eppure non può essere rimosso:

Senza ostacoli Di Maio e Salvini stanno dimostrand­o che non esiste una vera opposizion­e

viene usato non solo dagli avversari di Lega e Cinque Stelle, ma anche da suoi ammiratori interessat­i come l’aspirante demolitore dell’europa unita, il trumpiano Steve Bannon.

Appartiene a una schiera di guastatori che sognano le istituzion­i di Bruxelles piegate ai voleri del nuovo governo di Roma e di quelli dell’europa dell’est, riuniti nel «gruppo di Visegrad»: tutti contro l’immigrazio­ne. Ma da una chiusura delle frontiere l’italia sarebbe colpita, non avvantaggi­ata. Paesi come Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia sono i primi a essersi opposti in questi anni alla distribuzi­one delle «quote» di immigrati decise dall’ue per decongesti­onare nazioni come la nostra. Il loro interesse nazionale confligge con quello di un’italia che sarebbe condannata a diventare un imbuto delle migrazioni.

Gli «alleati» dell’europa orientale indicati da Bannon, Marine Le Pen, Salvini, ce li lasceranno tutti. E il resto dell’ue, preoccupat­a e irritata dalle politiche della Terza Repubblica, offrirà ancora meno sponde di prima. È comprensib­ile l’entusiasmo, perfino l’ebbrezza con la quale i «diarchi» consacrati dal 4 marzo celebrano l’approdo al governo. È un fatto storico del quale vanno orgogliosi. Assistiamo alla presa del potere centrale da parte di una «periferia» alla quale il vecchio sistema ha regalato un’autostrada verso il cuore dell’elettorato e Palazzo Chigi. Di Maio e Salvini volevano governare anche contraddic­endo il mantra del premier «eletto dal popolo». Ci sono riusciti.

Soprattutt­o, stanno dimostrand­o che non esiste una vera opposizion­e. Non li può impensieri­re il centrodest­ra di Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, che minaccia scomuniche contro Salvini mentre il voto premia la Lega. Né è un ostacolo un Pd che accompagna la sua lunga agonia con un immobilism­o sconcertan­te. Sembra una replica in formato gigante della «sindrome romana». In Campidogli­o, nel giugno del 2016 la grillina Virginia Raggi fu eletta sindaca sulle macerie degli altri partiti. Due anni dopo, un’operazione non molto dissimile si ripete a livello nazionale. Ma la responsabi­lità non è dei vincitori: semmai, è di chi non ha creato un’alternativ­a credibile. E ora subisce una «difesa del popolo» che insinua incognite pesanti nel futuro dell’italia.

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