L’asse tra gli alleati Il governo partirà da pace fiscale e tagli alla politica
Per Di Maio e Salvini nel discorso di Conte quella sull’europa è la parte «recitata»
L’ultimo scoglio Apprensione al mattino dopo la telefonata del Colle che chiedeva la conferma del nome
ROMA Non sono insieme, ma alle ore 13 Luigi Di Maio e Matteo Salvini tirano un respiro di sollievo all’unisono. È a quell’ora che dal Quirinale arriva l’attesa convocazione per l’«avvocato e professore» Giuseppe Conte. In mattinata, dal Colle era partita una richiesta di conferma sul nome che nei due partiti del «governo del cambiamento», Movimento 5 Stelle e Lega, aveva suscitato più di qualche apprensione. È così che nasce il durissimo post su Facebook di Alessandro Di Battista («Il presidente non è un notaio delle forze politiche ma neppure l’avvocato difensore di chi si oppone al cambiamento»), oltre che l’intervento di Beppe Grillo in persona contro «il maligno gossip-checkup sul professor Conte» determinato dalla «casta che decade e si agita per puro istinto di sopravvivenza». Nell’attesa, a innervosire ci sono anche le parole del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che certo non benedice il governo in gestazione.
Ma, appunto, l’ansia svanisce con la convocazione. Però ne sorge subito un’altra: il sostenere la candidatura di Paolo Savona nello strategico ministero all’economia. Il professore, già ministro, è infatti dato per non gradito al Quirinale a causa delle sue posizioni contrarie all’euro. Salvini lo dice e lo ripete in tutte le salse, «Savona non si tocca». Tra l’altro, l’economista è parte di quella che i leghisti chiamano «la triade», insieme a Enzo Moavero Milanesi e Giampiero Massolo. I leghisti continuano a ripetere il loro simul stabunt, simul cadent («insieme staranno o insieme cadranno»). «Sono — spiega un ascoltato parlamentare — l’offerta di garanzia della Lega, significano che ci facciamo carico anche dell’affidabilità europea».
Va detto, però, che i toni — non quelli di Salvini — sull’argomento sono impercettibilmente cambiati. Perché sulla tenuta della «triade» dai piani alti della Lega arriva un «tutto ora è nelle mani di Giuseppe Conte», il premier incaricato. Una sottolineatura non così ovvia. E così, si delinea la prima missione del professore pugliese: tenere insieme lo schema, peraltro in perpetuo movimento, del laborioso accordo pentaleghista.
Poi, finalmente, Conte sale al Colle e i due partiti, riuniti come il 4 marzo nelle rispettive war room, ne attendono le parole all’uscita in silenzio religioso. Salvini coglie l’occasione per manifestare il suo malumore nei confronti del centrodestra: «Io gli alleati li sento tutti i giorni, ma se continuano a darmi del traditore...». Per i leghisti, nel discorso del premier incaricato c’è una «parte recitata», quella che conferma «la collocazione europea e internazionale dell’italia» con impegno «sui negoziati in corso, dal bilancio europeo al diritto d’asilo al completamento dell’unione bancaria». E poi, una parte «espressiva», quella che fa riferimento al contratto di governo come base della fiducia che chiederà alle Camere.
I due partiti già iniziano a delineare quali saranno i primi provvedimenti, quelli di bandiera. Per gli stellati, certamente, i tagli ai vitalizi e in generale alla politica. Per i leghisti, la «pace fiscale», il pagamento delle cartelle esattoriali pendenti in misura assai ridotta per chiudere il contenzioso con lo Stato.
Intanto Beppe Grillo benedice sul suo blog il premier incaricato: «Abbiamo portato di fronte al presidente della Repubblica un uomo che escludo ci farà sfigurare nel mondo. Perché non si riconosce in lui traccia del macchiettismo compulsivo della stragrande maggioranza dei suoi predecessori».