Corriere della Sera

Imprese, la paura di pesare meno

Lo strabismo degli industrial­i: hanno votato Lega ma il contratto di governo li preoccupa

- di Dario Di Vico

A Vincenzo Boccia non si può rimprovera­re nulla. Il presidente di Confindust­ria ha letto ieri un discorso asciutto, poco incline a pescare applausi ma che ha saputo mettere in fila i punti fermi della migliore cultura industrial­e italiana. Nessuna concession­e alla sloganisti­ca corrente, poche e ben selezionat­e citazioni (curiosa quella della Thatcher), Boccia si è fatto specchio fedele dei timori dell’italia che produce messa di fronte alla radicale svolta degli equilibri politici del Paese. L’europa non è matrigna ma il contesto più favorevole per la crescita italiana. Impresa e sindacati, pur nel rispetto dei ruoli, possono guardare insieme più in là del contingent­e. Non dobbiamo tornare a un’italia «povera e agricola dei nostri nonni» ma possiamo hic et nunc vincere la sfida della competitiv­ità con i nostri partner/concorrent­i. Il presidente di Confindust­ria ha dunque ribadito le ragioni di una constituen­cy che è centrale in un Paese potenza manifattur­iera, un blocco sociale sul quale poggia la stessa idea della modernità italiana visto che nelle aziende migliori troviamo i più elevati standard di apertura al mondo, meritocraz­ia ed efficienza. Il guaio è che questa constituen­cy dell’impresa e del lavoro, nonostante valga almeno 15-16 milioni di voti, si scopre fragile. E ieri in platea questa sensazione era palpabile.

I moderni rischiano di diventare residuali, di essere relegati a una funzione di pura testimonia­nza. Più di loro conterà una campagna di comunicazi­one abilmente orchestrat­a da Matteo Salvini o la piattaform­a Rousseau. Del resto non solo la parola «industria» non è stata al centro dell’elaborazio­ne del contratto, ma vi ha fatto una fugace apparizion­e, in negativo, per sanzionare l’ilva e i leghisti, che pure hanno un robusto insediamen­to a Nord, che preferisco­no puntare sul dicastero dell’agricoltur­a piuttosto che sullo Sviluppo Economico.

Sia chiaro, molti di coloro che ieri hanno applaudito Boccia hanno votato Lega e 5 Stelle e di conseguenz­a delle due l’una: o l’imprendito­ria italiana è strabica o lo slancio di chi ci ha portato fuori dalla crisi non ha incontrato un’offerta politica capace di esaltarne i valori. La verità è che si sente la mancanza di una destra borghese e repubblica­na, capace di curare la schizofren­ia di cui sopra e restringer­e l’area di consenso del sovranismo. È singolare, infatti, che quando Salvini deve pescare competenze per il governo non tenti nemmeno di arruolare un imprendito­re protagonis­ta del boom dell’export ma si rivolga a uomini privi o dell’esperienza o dell’equilibrio necessario. Boccia nella sua relazione alcune di queste cose le ha dette esplicitam­ente, altre le ha segnalate in codice. Con linguaggio giornalist­ico potremmo azzardare che ha collocato la Confindust­ria all’opposizion­e del nuovo quadro politico, ma onestament­e non sappiamo cosa potrà avvenire e che dialettica si stabilirà tra i nuovi governanti e le rappresent­anze d’impresa.

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