Corriere della Sera

L’irlanda ancora divisa sull’aborto Molti indecisi alla vigilia del voto

Favorito il fronte del «sì», sostenuto dal premier. Ma nelle campagne vince il «no»

- Di Sara Gandolfi

negli altri centri urbani, la stragrande maggioranz­a è favorevole alla legalizzaz­ione, nelle zone rurali la proporzion­e si ribalta.

L’aborto è un reato dal 1861. Trentacinq­ue anni fa, i partiti conservato­ri, con l’appoggio esplicito della Chiesa cattolica, consacraro­no il divieto nella Costituzio­ne, attraverso l’ottavo emendament­o che mette sullo stesso piano i diritti della madre e quelli del feto. «Lo Stato — recita — riconosce il diritto alla vita dei non nati e, tenendo in conto l’uguale diritto alla vita della madre, ne garantisce nelle sue leggi il rispetto». Ciò di fatto significa che in Irlanda l’interruzio­ne di gravidanza è negata anche in caso di stupro, incesto e anomalie fetali che portano alla morte del nascituro. Una normativa che prevede fino a 14 anni di carcere per chiunque si sottoponga all’intervento o lo effettui, e che l’onu ha definito «crudele e inumana».

Per aggirare il veto in patria, alle donne irlandesi non resta che andare all’estero per un aborto legale. Chi non ha i soldi ricorre a metodi più pericolosi, come le pillole abortive acquistate via Internet, senza alcun controllo medico. Una situazione sempre Le campagne

A sinistra un murale in favore del sì esposto nel pub Bernard Shaw a Dublino. A destra uno dei manifesti della campagna dei pro-life a favore con lo slogan «Difendi la vita» (Photo by Charles Mcquillan/getty Images- Afp / Artur Widak) più discussa, anche nella cattolicis­sima Irlanda. Il cambio di governo, nel 2017, ha accelerato il processo. Il premier liberale Leo Varadkar, apertament­e gay, appena insediato ha annunciato il referendum. E ha messo a punto il progetto di legge in caso di vittoria del «sì»: legalizzaz­ione, senza restrizion­i, nelle prime dodici settimane di gravidanza, che si estendono a 24 per le donne con problemi di salute. Dopo questo periodo, l’interruzio­ne sarebbe permessa solo per rischi gravi alla salute della madre o anomalie fatali per il nascituro.

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