Le accuse all’esperta del Tesoro Ora il pm chiede l’archiviazione
Milano, la Procura: «La scelta era stata avallata dal ministero»
appunto redditi in conflitto di interessi. Ma gli atti d’indagine come appunto l’inedito interrogatorio di Masi — che ora sfociano in una richiesta di archiviazione della Procura di Milano per Masi, per la sua ex società Ernst & Young e per il suo dirigente Marco Ragusa — smentiscono Padoan, e sono anzi paradossalmente proprio la ragione dell’archiviazione.
«Nel settembre 2014 — ricostruisce Masi — io e Vieri Ceriani (sottosegretario all’economia, ndr) prospettammo al ministro che Ernst & Young non voleva più retribuirmi per stare al ministero del Tesoro». E a dicembre 2014 il ministro dell’allora governo Renzi, «preoccupato che io in quella fase potessi lasciarlo, mi disse che avrebbe cercato di sostenermi trovando una soluzione istituzionale». Istituzionale mica tanto, se il modo per consentire a Masi di arrotondare i 75.500 euro di indennità ministeriale, da lei ritenuti troppo pochi e fuori mercato, è la mail del 24 dicembre 2014 che il ministro Padoan le spedisce per proporle la presidenza della Covip-commissione di vigilanza sui fondi pensione, un posto da 170.000 euro di indennità aggiuntiva. Il paradosso è che ad accorgersi però di essere incompatibile per legge con quel posto è proprio Masi, che riuscirà comunque ad arrotondare grazie agli incarichi affidatile allora nei collegi sindacali o nei cda di Ferrovie dello Stato, Equitalia e Invimit.
Già i predecessori di Padoan (che, interpellato ieri dal Corriere, fa sapere di non voler commentare le indagini) sapevano tutto. Ceriani, con cui Masi era approdata al ministero a fine 2012 nel governo Monti, narra ai pm Giovanni Polizzi e Paolo Filippini: «Parlai con il ministro Vittorio Grilli e il capo di gabinetto Vincenzo Fortunato, specificando che Ernst & Young avrebbe corrisposto a Masi un compenso durante tutta la sua collaborazione con il ministero. La collaborazione in questi termini fu ritenuta possibile e fu dato seguito». E nell’era di Saccomanni (governo Letta) Masi spiega che l’1 agosto 2013, per la dichiarazione di assenza di conflitti di interesse, era tutto talmente finto che la segreteria del ministro le diede da firmare addirittura un prestampato.
Il risultato è la commistione al ministero di chi consiglia chi a quale titolo. A fine novembre 2012 — quando i capi londinesi di Ernst & Young chiedono al loro dirigente italiano Marco Ragusa su chi possano contare dentro al ministero in vista di un incontro con Barclays, e si sentono indicare la Masi con l’avvertenza «però lei non può scrivere nessuna mail a loro o a noi» — il ministero manda proprio Masi (con un alto funzionario di Banca d’italia) a discutere con Barclays, cliente di Ernst & Young, la tassazione dei derivati. E quando Société Generale e Bnp Paribas manifestano contrarietà all’ipotesi (in discussione europea) di una tassa sulle transazioni finanziarie nei sei mesi di presidenza italiana del Consiglio Ue, ecco che i colloqui sono con Masi e Ceriani.
Penalmente è dunque arduo La vicenda
● Susanna Masi, 47 anni, è entrata al ministero dell’economia nel 2012 (governo Monti) e c’è rimasta fino al 2017, ancora stipendiata da Ernst & Young
● I pm la accusavano di rivelazioni di segreto d’ufficio e di non aver dichiarato il suo conflitto di interessi. Ora la Procura ha chiesto l’archiviazione per lei e anche per la sua ex società Ernst & Young sostenere in giudizio che il ministero sia stato ingannato da qualcosa che invece ben conosceva e anzi condivideva: al contrario, tutti (tranne forse i cittadini) sapevano e sanno tutto delle «lobby» centaure dentro i ministeri, solo un filo imbarazzate nelle intercettazioni. Come il 28 marzo 2014 quando Masi si affannava a spiegare al suo collega di Ernst & Young che al ministero «devono assolutamente far vedere che c’è una indipendenza, se no il giorno dopo arrivano a casa a noi, a voi, a tutti... capisci? Marco, non posso certo far vedere che io sono Ernst & Young, ce lo siamo sempre detti!»).
Questo inedito spaccato della realtà in seno alle più alte amministrazioni pubbliche, benché ancora una volta rivelato solo da un accertamento giudiziario, è tuttavia scenario di fronte al quale il ruolo dei pm si arresta, ravvisando essi di non poter sindacare penalmente la discrezionalità di scelte politiche quali l’accettazione di una ibrida duplice lealtà del «consigliere» ministeriale tanto allo Stato (che se ne avvale a pagamento), quanto all’azienda di provenienza che continua a stipendiarlo: scelte pur discutibili (ma appunto politicamente, non più giudiziariamente) sotto il profilo dell’indipendenza a rischio dei processi decisionali, dell’opacità dei conflitti di interesse latenti, dell’utilizzo concorrenziale di informazioni riservate pur se tecnicamente non coperte da segreto d’ufficio.
Incarichi
Era consulente al ministero dal 2012 e lavorava per Ernst & Young