Corriere della Sera

Diciamo «grazie» 4 volte più dei russi Ma gli inglesi superano tutti

Il caso della lingua senza parole di gratitudin­e

- Di Luigi Ippolito

le risse politiche, i talk show trasformat­i in giochi gladiatori, le contumelie a profusione sui social media, ce la battiamo alla pari con i campioni mondiali della gentilezza pubblica (almeno a parole).

Lo studio si è concentrat­o sui comportame­nti nei Paesi sviluppati, ma anche presso tribù indigene dell’australia e del Sudamerica. I ricercator­i hanno colleziona­to ore e ore di filmati di persone che interagiva­no in situazioni quotidiane: 1.057 conversazi­oni registrate con telecamere e microfoni piazzati in case e luoghi di riunione, generalmen­te fra persone che si conoscevan­o bene, come familiari o amici.

E contrariam­ente al mito del buon selvaggio, è venuto fuori che i Chachi dell’ecuador sono i più «scostumati». Non dicono mai grazie, ma proprio mai, tanto che nella loro lingua non c’è neppure la parola.

Abbastanza grezzi anche i russi: «spasibo» è vocabolo raro. Ma c’è da capirli: dopo essere passati dagli zar a Stalin a Putin, gli è rimasta poca voglia di dire grazie. E chi ha frequentat­o la Russia post-sovietica sa che homo homini lupus è la regola generale. Anche peggio fanno i polacchi, altra nazione tartassata dalla storia: di spartizion­e in spartizion­e, Frequenza delle espression­i di gratitudin­e dopo una risposta positiva si sono persi per strada la cortesia.

Il primato degli inglesi non stupisce, considerat­o che pure il British Council, l’ente culturale britannico, pubblica una guida per aiutare i turisti stranieri a districars­i fra le regole d’etichetta d’oltremanic­a: e oltre a raccomanda­re di «non saltare mai la fila», si sottolinea che «non si può mai dire thank you troppe volte». Tanto che nello studio

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