Il dominio perenne (per ora) del dollaro
La crisi finanziaria esplosa nel 2008 con il crollo della Lehman Brothers iniziò palesemente negli Stati Uniti. La conseguenza fu che grandi quantità di investito ricomprarono… dollari. Cioè la valuta al cuore del disastro. È che il biglietto verde era (ed è) la valuta mondiale di riserva, ritenuta un porto sicuro in cui rifugiarsi nei momenti caldi. Oggi, però, c’è un dibattito sulla stabilità di questo privilegio del dollaro: si dice che l’america di Donald Trump potrebbe non essere più vista come la garanzia della stabilità del sistema finanziario globale.
Il dominio della valuta Usa è palese. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha appena pubblicato la statistica sulle riserve valutarie detenute dagli Stati nell’ultimo trimestre del 2017: su un totale di 11.424 miliardi di dollari, 6.281 erano in moneta americana, il 62,7% (se si sottraggono le riserve non allocate). In termini relativi, è il minimo dal 61,24% di quattro anni fa ma in cifra assoluta siamo al massimo storico. Le riserve in euro erano il 20,15%, quelle in yen il 4,89%, quelle in sterline il 4,54% e poi giù fino all’1,23% del renminbi cinese. Sulla base di dati della Banca centrale europea, il debito internazionale è per il 63% in dollari, come in dollari sono il 59,1% dei prestiti internazionali, il 43,8% delle transazioni sui cambi, il 42,1% dei pagamenti internazionali (dal 29,7% del 2012). Uno studio dell’fmi dà un’idea piena della potenza di questa posizione: un apprezzamento dell’1% del valore del dollaro rispetto a tutte le altre valute mondiali comporta una riduzione (in volume) del commercio fuori dall’america pari allo 0,6%. E viceversa un deprezzamento. La posizione del biglietto verde, insomma, per ora è solida, anche perché nessun’altra valuta ne insidia l’egemonia. Il vantaggio non potrà però essere perenne: prima o poi arriverà il declino, come successe alla sterlina. È questo il momento? Un rispettato economista americano, Barry Eichengreen, dice che il dominio quasi secolare potrebbe essere messo in pericolo da possibili rotture di alleanze consolidate provocate da Trump: se perdi alleati, perdi anche amici che detengono dollari per dimostrare riconoscenza a chi li difende militarmente. I Paesi con armi nucleari, per dire, detengono meno dollari degli altri. È una riflessione interessante.