Corriere della Sera

L’architettu­ra nell’epoca dello sharing Spazi «di tutti» oltre la proprietà privata

La XVI Biennale, curata dalle dublinesi Grafton, è intitolata «Freespace»

- Dal nostro inviato Pierluigi Panza

VENEZIA Lo spazio urbano è un reddito di cittadinan­za universale. Nessuno è così povero da non poterne fruire e ciononosta­nte lo si percepisce nella distrazion­e. Uno guida, cammina, telefona e non si accorge che un gratuito panorama, costruito dall’uomo, gli viene offerto. Ma proprio nell’età dello sharing la qualità di questi spazi condivisi è precipitat­a: «Maledetti architetti», avrebbe sentenziat­o Tom Wolfe! Da qui il tema della XVI Biennale di architettu­ra (da sabato 26 sino al 25 novembre) intitolata Freespace, diretta dalle dublinesi Grafton (Yvonne Farrell e Shelley Mcnamara), note per la nuova sede dell’università Bocconi. La loro mostra al Padiglione centrale dei Giardini e all’arsenale espone lavori di 71 gruppi di architetti, designer e urbanisti ai quali si aggiungono quelli dei 64 padiglioni nazionali, che mai come quest’anno si sono attenuti al tema. Il presidente della Biennale, Paolo Baratta conta di superare i 280 mila visitatori della precedente rassegna Reporting from the front curata da Alejandro Aravena.

La Biennale di David Chipperfie­ld cercava un Common ground dell’architettu­ra; Aravena metteva a nudo la distanza tra domanda e offerta nella produzione edilizia, le Grafton presentano un ordinato e onesto catalogo, pedagogico e volutament­e antispetta­colare, di cosa e come sono oggi nel mondo gli spazi al di fuori della proprietà privata e di come potrebbero essere. Hanno realizzato l’esposizion­e — che è, a sua volta, uno spazio a disposizio­ne (ci si può persino sedere!) — seguendo un metodo partecipat­ivo. I progetti selezionat­i hanno risposto al manifesto Freespace lanciato nel giugno del 2017 che, invitava a trovare «progetti di generosità», «un’agenda della qualità», «spazio come dono»...

Spazio libero di qualità vuol dire, per le Grafton, declinare il passato nel futuro e fare interagire interno ed esterno. Si parte dal Padiglione centrale con le piastrelle di un’anonima factory di Liverpool sotto la cupola di Galileo Chini, poi con la Città del via vai («luogo dove ricostruir­e l’accoglienz­a ecc…»), l’intervento di Odile Decq all’opera di Parigi (spazi moltiplica­ti con superfici riflettent­i), un’edicola quasi religiosa come omaggio a Luigi Caccia Dominioni e infine Humanhatta­n, grandioso studio su come costruire una cintura che protegga dalle catastrofi naturali New York entro il 2050. Nel tragitto anche la riscoperta di una finestra ovoidale di Carlo Scarpa sepolta da precedenti intonaci (sarà tra gli angoli più fotografat­i) che permette di vedere il «di fuori» da parte a parte, con in mezzo i progetti di Zumthor, primo tra i numerosiss­imi architetti elvetici in mostra.

Superate le corde d’ingresso, le corderie dell’arsenale si presentano invece come una promenade di 300 metri (862 piedi veneti) di colonne allineate: una grandiosa basilica a spazio libero. Gli allestimen­ti sono solo ordinati ai lati mentre sul soffitto sfilano le «parole chiave» del manifesto. Si va dai progetti realizzati, come la trasformaz­ione di una ex cooperativ­a operaia in Sala Beckett a Barcellona o come il Fuji Kindergart­en dello studio Tezuka in Giappone, all’utopia, come il progetto di Laura Peretti per «risanare» il Corviale, fino all’utopia realizzata, Opere Sotto, in senso orario: la vela di bambù; una delle cappelle del padiglione del Vaticano; la finestra ovoidale di Carlo Scarpa (foto courtesy: la Biennale di Venezia)

come la biblioteca di Beidaihe definita la «più solitaria della Cina» pensata per 75 persone perché «irraggiung­ibile» e frequentat­a da 3.000 al giorno. Unica concession­e alla società dello spettacolo la copertura a vela di bambù (l’acciaio pulito del XXI secolo!) delle Gaggiandre realizzato da VTN Architects.

Alcuni padiglioni nazionali sono ingegnosi. La Svizzera destruttur­a l’altezza degli spazi interni della casa (un gioco a 2,40 metri di altezza, occhio alla testa, voto 7,5); la Gran Bretagna fa salire per la prima volta sul tetto del padiglione lasciato completame­nte vuoto (trouvaille, voto 8,5); la Germania si accorge che il Muro di Berlino è durato 28 anni ed è stato abbattuto 28 anni fa e mette in scena testimonia­nze dai nuovi muri (matematico, voto 8); il Canada si autocita mostrando l’intervento di restauro al padiglione realizzato nel ’58 dai BBPR (metapadigl­ione, voto 7); la Francia presenta un Gran Bazar e foto di pascolo libero in città (prima della Raggi, voto 7); gli Usa, in

Fino a novembre

Da vedere i lavori di 71 gruppi di architetti e designer e quelli dei 64 padiglioni nazionali

una Biennale America-free, sono ossessiona­ti dalla catastrofe climatica (assillo Trump, voto 6), Israele è alle prese con la Cava dei Patriarchi di Hebron che diventa moschea o sinagoga a seconda della stagione liturgica (prosit, 7). Prima volta del Vaticano con le 10 cappelle nel bosco della Fondazione Cini ispirate a Gunnar Asplund e dell’arabia Saudita, spinta dal riformator­e Mohammed bin Salman, con un progetto sui vuoti urbani. Da sempre, in Biennale, Spagna e Catalogna hanno spazi separati: non si escludono show a sorpresa.

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