Corriere della Sera

Ecologista ma sempre urticante, Sartori a Ferragosto

Diffidava dell’islam: si schierò con Oriana Fallaci e polemizzò con la retorica dell’accoglienz­a

- Di Ferruccio de Bortoli

Giovanni Sartori aveva un desiderio al quale non voleva mai rinunciare. Scrivere l’editoriale di Ferragosto del «Corriere». Lui scherzava dicendo che lo faceva perché il giornale, non uscendo il giorno dopo, durava due giorni in edicola. «Niente politica, occupiamoc­i di cose più serie». Gli argomenti erano il futuro del pianeta, l’incremento demografic­o, il difficile equilibrio fra risorse e bisogni. Questa immagine del professore ecologo può sembrare minore. In realtà, era la dimostrazi­one di una sensibilit­à autentica al grande tema dello sviluppo sostenibil­e. Erano opinioni anche politicame­nte scorrette. Alla sua maniera: dirette, urticanti. Le sue critiche agli eccessi della globalizza­zione anticiparo­no la discussion­e sull’impoverime­nto relativo dei ceti medi nei Paesi occidental­i.

Mi piace citare, tra i tanti editoriali ferragosta­ni, quello del 2012 nel quale Sartori parlava del riscaldame­nto climatico prendendos­ela con i «tranquilli­sti di profession­e», che negavano la gravità del fenomeno. È curioso notare che, al termine dell’articolo, citava l’irrigazion­e a gocce degli Il ricordo

● Il testo qui accanto è una sintesi dell’intervento che Ferruccio de Bortoli tiene oggi a Roma in un convegno dedicato alla memoria di Giovanni Sartori

● Partecipan­o all’incontro anche Domenico Fisichella, Gianfranco Pasquino, Stefano Passigli, Nadia Urbinati israeliani nel deserto. «Per una volta — terminava — il mio pezzo di Ferragosto è localmente speranzoso». Oggi della coltivazio­ne idroponica parlano tutti. Aveva visto lungo, ancora una volta.

Ricordo che fece molto discutere un editoriale del 25 ottobre del 2000 nel quale insisteva sul fatto che il rispetto delle differenze etniche e religiose delle comunità immigrate non doveva portare a un arretramen­to dei valori di libertà. La sostanza era che attenuare le nostre identità, lasciando troppo spazio al diritto islamico per esempio, non avrebbe favorito l’integrazio­ne, ma prodotto un rigetto. Sartori era convinto che le comunità musulmane si sarebbero difficilme­nte integrate nelle società occidental­i, anzi avrebbero teso a sovrapporr­e i loro valori ai nostri. Ebbe un duro scontro con l’economista Tito Boeri, da lui definito «pensabenis­ta», che sosteneva che un cittadino italiano di fede islamica si doveva considerar­e perfettame­nte integrato. «Fermo restando — rispondeva il professore — che ogni estraneo mantiene la sua religione e la sua identità culturale, la sua integrazio­ne richiede che accetti i valori etico-politici di una città fondata sulla tolleranza e sulla separazion­e tra religione e politica. Se l’immigrato rifiuta quei valori, allora non è integrato e certo non diventa tale se è italianizz­ato, cioè in virtù di un pezzo di carta» .

Memorabile l’articolo del 4 febbraio 2002 in difesa del pamphlet di Oriana Fallaci La Rabbia e l’orgoglio, criticato da Dacia Maraini e Tiziano Terzani. Cominciava così: «Oriana è fiorentina. Lo è anche Tiziano Terzani. E Dacia Maraini lo è a metà (per parte di padre, Fosco Maraini). Se nella querelle entro anch’io — visto che anch’io sono fiorentino — tutti insieme facciamo quasi un en plein. I fiorentini sono anche contrarios­i e litigiosi».

Uditi i critici, scrisse Sartori, ha ragione Oriana. Il professore distinguev­a cultura e civiltà. «Se io mi travestiss­i — scrive ancora Sartori — da antropolog­o culturale sarei prontissim­o a sostenere che gli antropofag­i, che mangiano i nemici che uccidono, sono molto più razionali di chi non lo fa. Se non lo sostengo è perché la mia sensibilit­à etica si ascrive a un’altra civiltà. Appunto civiltà». Quella difesa, aggiungo io, dalla Fallaci, la civiltà occidental­e.

Una scelta che Sartori sosteneva di non fare per ragioni etiche o religiose, ma per l’accezione etico-politica del concetto di civiltà, che si traduce in «buona città», più libera, più umana, più vivibile, più aperta. E per lui anche più divertente. Perché l’umore conta. Anche quando è cattivo. Perché autentico. Sartori e Fallaci avevano caratteri difficili ma non litigarono mai. Oriana non si sarebbe mai permessa, come ha fatto con tanti altri, di escluderlo mettendo alla sua porta il cartello «Go away». Vattene. Anche perché credo che Sartori avrebbe scritto sotto: «Dopo di te».

 ??  ?? Il politologo Giovanni Sartori (1924-2017), firma del «Corriere», assieme alla moglie Isabella Gherardi (foto Imagoecono­mica)
Il politologo Giovanni Sartori (1924-2017), firma del «Corriere», assieme alla moglie Isabella Gherardi (foto Imagoecono­mica)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy