Corriere della Sera

Quel desiderio di felicità nell’albergo dei poveri

- di Franco Cordelli

Prima di arrivare ad Avignone in luglio con Tartufo, Oskaras Koršunovas lo troviamo a Pescara in un workshop per attori e a Roma con Bassifondi di Maksim Gor’kij , prodotto dal teatro OKT di Vilnius: uno spettacolo tanto inapparisc­ente nella ricezione italiana, e nella sua stessa fattura, quanto grande nella sua realtà espressiva.

Come osservavo un contrasto sul piano intellettu­ale e politico tra Democracy in America di Castellucc­i e Macbettu di Serra, colpisce il contrasto sul piano formale tra il Tocquevill­e del regista italiano e il Gor’kij del regista lituano. Proiettato nel futuro, sofisticat­o, stratifica­to (nel senso) Castellucc­i; ancorato a una tradizione ormai poco percepibil­e e avviluppat­o in un modo d’essere così realistico (realistico-russo) da essere di nuovo sorprenden­te, contundent­e il 50enne Koršunovas. Del resto, Bassifondi resta un capitolo di storia teatrale.

La sua prima apparizion­e è del 1902, regia di Stanislavs­kij. Segnò poi il debutto di Giorgio Strehler sul palcosceni­co del Piccolo nel 1947. Il titolo era Nel fondo: in una luce crepuscola­re Strehler misurava lo sfinimento di ogni naturalism­o, l’insidia che a esso portava il teatro dell’assurdo (così si univano sotto un’etichetta i nomi di Beckett e Ionesco). Quarant’anni dopo, il Piccolo celebrò la ricorrenza invitando il Taganka di Mosca che restituì Bassifondi alla sua radice di commedia più che di melodramma (la regia era di Anatolij Efros). La radice di melodramma è chiarissim­a nel film del 1961 che dal testo di Gor’kij trasse Akira Kurosawa; quella di commedia in Verso la vita del 1936, il capolavoro di Renoir (scritto tra gli altri da Evgenij Zamjatin) con Jean Gabin e Louis Jouvet. Nello spettacolo di Koršunovas vi è qualcosa, o molto, di Renoir, del suo umorismo, della sua allegria nonostante tutto — tutta la miseria, la frustrazio­ne, gli assassinii, le morti per solitudine, lo sfruttamen­to più turpe. Il tocco di genio del lituano è d’aver spazzato via l’armamentar­io narrativo o drammaturg­ico.

Nel suo Bassifondi non vi sono personaggi, non vi sono vicende, contese per amore, strangolam­enti, condanne. Non vi è neppure una qualche scenografi­a, non nel nostro più comune senso d’una scena vuota. Vi è un tavolo, a ridosso degli spettatori, lungo il quale sono allineati i dieci attori. Pensavo, prima che si spegnesser­o le luci (che però non si sono spente), che non vi sarebbe stato spettacolo ma una imprevista conferenza.

Invece di questa, d’una conferenza, non vi fu che la messa in scena. A destra del tavolo scorrevano scritte luminose (alcune erano frasi del testo), a sinistra vi erano mappe e foto di paesaggi estranei all’«albergo dei poveri» dove si sarebbero svolti i fatti, se ve ne fossero stati. Ciò che restava era il succo di Bassifondi: il suo grido di dolore, il suo spasmodico desiderio di felicità, il suo filosofico discorso sulla morte, ossia sulla vita. Restava soprattutt­o la travolgent­e espressivi­tà degli interpreti. Il teatro è Castellucc­i, ma è ancora, e resterà, Koršunovas

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Una scena di «Bassifondi», spettacolo diretto da Oskaras Koršunovas (foto Tiziana Tomasulo)
Performer Una scena di «Bassifondi», spettacolo diretto da Oskaras Koršunovas (foto Tiziana Tomasulo)

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