L’insostenibile leggerezza della gioventù
Se alla fine scoprissimo che in tre settimane di corsa rosa si è alternato al fratello gemello Adam, non ci sarebbe troppo da stupirsi. Simon Yates è l’alfiere del ricambio generazionale che questo Giro sembra covare come mamma chioccia sin dalla crono di Gerusalemme. È il più giovane dei favoriti (classe 1992), senza portarsi dietro nel tascapane l’usura dell’usato sicuro: sulla montagna vera (Zoncolan) è stato all’altezza di Chris Froome, contro il tempo a Rovereto ha tenuto botta a mister cronoman Dumoulin, cedendo esattamente quanto aveva programmato di perdere. Un ragioniere delle due ruote? No, sarebbe riduttivo. Yates è l’evoluzione del pistard, il corridore moderno che ha troppa poca strada sotto le ruote per nutrire timori reverenziali: l’insostenibile leggerezza di Simon l’ha portato ai piedi delle tappe decisive con 56” di margine sul campione in carica e il grande vantaggio di poter decidere la strategia: «Pedalerò conservativo» ha detto. Che a fare la corsa siano gli altri, se ne hanno le gambe. Tre tappe (Gran Sasso, Osimo, Sappada) e mezza (Etna, regalata a Chavez poi evaporato: una prece) già in tasca. E non è finita qui. Unica incognita: la tenuta fino in fondo. Lo dicevamo anche di Dumoulin l’anno scorso. Yates ha saputo gestirsi benissimo, continuerà a farlo. E ha una squadra (la Mitchelton Scott) che quando la strada sale non teme nessuno. La sensazione in carovana è che la rivoluzione inglese non possa più attendere.
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