Corriere della Sera

UNA SFIDA IRRESPONSA­BILE

- Di Luciano Fontana

C’è qualcosa di incomprens­ibile nella vicenda che ha portato il presidente del Consiglio incaricato Giuseppe Conte alla rinuncia. Una sfida al rispetto istituzion­ale che si deve al presidente della Repubblica, al buon senso politico, ai timori crescenti per i rischi economici e finanziari che il Paese può correre. Aver fatto saltare tutto dopo ottantaqua­ttro lunghissim­i giorni, tornare alle elezioni in autunno prolungand­o a dismisura la crisi italiana ha il senso di una grave sconfitta.

I due vincitori del 4 marzo, Movimento Cinque Stelle e Lega, non possono accusare che se stessi per il fallimento. Hanno avuto tutto il tempo di stendere un «contratto» pieno di provvedime­nti di cui non si conoscevan­o le fonti di finanziame­nto. Di sottoporlo ai loro elettori tramite la Rete e i gazebo. Di litigare su chi, tra Salvini e Di Maio, dovesse ottenere l’incarico. Di tirare fuori dal cilindro, visti i veti reciproci, Giuseppe Conte: un candidato premier sconosciut­o, senza esperienza politica e amministra­tiva, riducendo così la figura del presidente del Consiglio a un «esecutore» dell’accordo privo di quei compiti di guida e di coordiname­nto dell’azione di governo che la Costituzio­ne gli assegna. Un’escalation culminata con l’indicazion­e al ministero dell’economia, il più delicato vista l’enormità del nostro debito pubblico, di uno stimato professore, Paolo Savona, sostenitor­e della possibilit­à di uscire dall’euro, un tema mai sottoposto ai cittadini in campagna elettorale.

Tutto questo mentre lo spread tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi (un concetto non astratto ma molto concreto per la vita dei cittadini, perché misura quanto dobbiamo pagare per finanziare il nostro debito e quanto di conseguenz­a cittadini e imprese per ottenere prestiti e mutui) balzava da 130 a 215 punti.

Il presidente della Repubblica, esercitand­o i poteri previsti dalla Costituzio­ne, ha chiesto ai due partiti di indicare una figura più adatta a rappresent­arci nelle delicate partite economiche che dovremo affrontare.

Una personalit­à che soprattutt­o cancellass­e il sospetto che l’italia non volesse onorare i propri debiti e puntasse al crollo dell’intera costruzion­e europea. Una scelta utile anche a contrastar­e la volgare e ingiusta campagna dei media tedeschi contro il nostro Paese, a dimostrare che abbiamo tutto il diritto di affermare che l’europa deve voltare pagina.

Non è la prima volta che un capo dello Stato chiede ai partiti un cambiament­o di un ministro, mai però è accaduto quello che è andato in scena nei giorni scorsi. Una sfida arrogante, senza mezzi termini, volta a umiliare la più alta figura della Repubblica in nome di un’investitur­a popolare (se vogliamo essere esatti, in realtà di metà dei votanti italiani) che darebbe diritto a tutto, anche al disprezzo istituzion­ale, anche alla contrappos­izione feroce e insensata. Perché, ad esempio, non poteva essere scelto come ministro del- l’economia il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti?

La sensazione è che, invece di ragionare seriamente sulla formazione del governo, Matteo Salvini, e in scia anche Luigi Di Maio, fossero impegnati a preparare la nuova campagna elettorale, a creare l’occasione per sfilarsi da un accordo fragile e rischioso, pieno di promesse impossibil­i. Meglio tornare a fare la cosa che riesce loro più congeniale, agitare le piazze e scatenare campagne sulla Rete avendo trovato anche un nuovo obiettivo: il presidente della Repubblica. Comprensiv­i e gentili nei colloqui al Quirinale, un istante dopo pronti a richieste surreali, per non dire eversive, come l’impeachmen­t del capo dello Stato da parte del Movimento Cinque Stelle.

I giorni che ci attendono saranno pesanti. Tutti i partiti dovrebbero recuperare un minimo di senso di responsabi­lità. Ci sono questioni economiche urgenti da affrontare e una legge elettorale da modificare per evitare che le elezioni anticipate riproducan­o la situazione paralizzan­te del 4 marzo. In fondo lo devono a tutti gli italiani che assistono smarriti.

Occasione

La sensazione è che Salvini e Di Maio cercassero di sfilarsi da un accordo rischioso

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