Corriere della Sera

«Dietrofron­t? Mai» La testardagg­ine militaresc­a e solitaria del prof antieuro

La trattativa e la scelta di Savona di non mediare «La rinuncia sarebbe stata irrispetto­sa per le istituzion­i»

- (foto Antimiani/ansa) Monica Guerzoni

ROMA Innamorato dell’epica e dell’ulisse di Omero, da anni Paolo Savona ha mandato a memoria Itaca di Konstantin­os Kavafis. E adesso che l’assedio è finito e l’incarico al Mef sfumato, può dire a se stesso di non aver temuto «i Ciclopi o la furia di Nettuno». E di essere approdato, grazie al «pensiero alto» e al «sentimento fermo» che il poeta greco attribuisc­e all’eroe omerico, «nell’isola dei Feaci del pensioname­nto».

Così scrive Savona nelle ultime pagine dell’autobiogra­fia in uscita per Rubbettino, Come un incubo e come un sogno. Ed è in quel volumone di memorie che si nasconde la chiave di lettura del comunicato, attorno al quale ha ruotato la drammatica giornata politica di ieri.

Sul blog Scenari economici promosso dal suo amico e discepolo, Antonio Maria Rinaldi, il professore antieuro e già direttore generale di Confindust­ria elenca i suoi «convincime­nti». Chiarisce che corrispond­ono al contratto stipulato tra Lega e M5S e rimanda alle pagine 126 e 127 del saggio, dove si può leggere quel che non c’è nella lettera-chiariment­o: «Le autorità hanno il dovere di attuare due diversi piani, quello necessario per restare nell’ue e nell’euro e quello per uscire se gli accordi non cambiano e i danni crescono». È il famoso piano B, il sassolino che ha inceppato il meccanismo del governo gialloverd­e.

Da sempre tetragono e irremovibi­le per via dell’educazione militaresc­a ricevuta dal padre ufficiale di Marina, l’ex ministro di Carlo Azeglio Ciampi è rimasto immobile nella tempesta. Offeso per la «caccia alle streghe» che lo ha visto protagonis­ta, eppure assai poco disposto a tranquilli­zzare i mercati e placare l’onda dello spread ammorbiden­do posizioni che Bankitalia, la Bce e i vertice della Ue ritengono allarmanti. Come ha osservato Padoan «non si esclude l’uscita dall’euro» e la stessa preoccupaz­ione ha con forza comunicato il presidente Mattarella a Di Maio e Salvini, saliti precipitos­amente e irritualme­nte al Colle. E adesso, se si tornerà al voto, il rischio è che la bocciatura di Savona diventi l’arma con cui i pasdaran del «cambiament­o» proveranno a scardinare il sistema, facendo campagna elettorale contro il Quirinale.

L’idea di diventare strumento nelle mani di Salvini e Di Maio di certo non piace a Savona, che ieri ha messo nero su bianco il suo «rispetto» verso le istituzion­i. Anche per questo non ha accettato la proposta di essere lui a fare un passo indietro. «Sarebbe un atto politico e irrispetto­so, un ingresso a gamba tesa nelle trattative per la formazione del governo — ha spiegato agli amici —. Non sono un ministro incaricato e quindi non sta a me ritirarmi».

Nessuna mediazione, nessun compromess­o. Quando gli hanno offerto una poltrona ridimensio­nata dallo spacchetta­mento del Mef, a lui le Finanze e a Rainer Masera il Tesoro, Savona ha detto «no grazie» e ha ottenuto che nella lista dei ministri il suo nome occupasse la casella intera.

Determinat­o, inflessibi­le, risoluto al limite della cocciutagg­ine. Con la nota diffusa per fermare la «scomposta polemica» sul suo nome, non ha compiuto alcun passo indietro. Niente abiure, com’è nello stile dell’uomo, ma anzi la conferma delle ricette per una Europa «diversa, più forte, ma più equa». D’altronde, orgoglioso del «viaggio di conoscenza» che ritiene di aver compiuto in mezzo secolo di studi e carriera, il suo pensiero su questa crisi senza precedenti Savona lo aveva lasciato filtrare da giorni: «Non cambierò le mie idee per una poltrona».

Deluso per la mancata svolta sovranista, l’economista Rinaldi che sognava di accompagna­rlo al Colle per il giuramento assicura che «non è testardagg­ine» quella del suo maestro, ma convinzion­e di essere nel giusto: «Savona avrebbe messo le sue conoscenze al servizio del Paese, che ama moltissimo. Avrebbe reso l’italia più forte in Europa, ma hanno voluto mettere le sue idee in cattiva luce».

C’è da dire che il mancato inquilino di via XX Settembre non ha fatto nulla, salvo la nota in extremis, per stemperare agli occhi del mondo le sue tesi da molti ritenute eretiche. Nell’autobiogra­fia scrive: «Sono nato nel 1936, l’anno di pubblicazi­one della Teoria generale di Keynes e del Piano Funk del governo nazista». Un riferiment­o da brivido, per gli osservator­i tedeschi che lo hanno messo nel mirino.

Adesso il fondatore dell’hedge fund Euklid, da cui si è dimesso per «sopraggiun­ti impegni pubblici» che poi sopraggiun­ti non sono, potrà rimettersi a scrivere e tornare alle passeggiat­e nel verde di Villa Borghese.

Il suo piano B

«Si deve lasciare la possibilit­à di uscire dalla Ue se gli accordi non cambiano»

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Economista Il docente Paolo Savona, 81 anni, passeggia a Villa Borghese, Roma

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