Corriere della Sera

E il vampiro annoiato si tuffò nel cratere del Vesuvio

Uno studio di Alberto Castoldi (Quodlibet) su leggende e superstizi­oni antiche, con richiami a Bataille, Rilke, Lévy-strauss, Benjamin, Freud

- Di Antonio Debenedett­i

L’industria del brivido sta dimentican­do i vampiri? La letteratur­a li snobba? Che cosa sappiamo di queste creature alte e pallide, per solito vestite d’un indistrutt­ibile mantello nero odoroso di nebbia e legno di bara? Il non essere né morti né vivi, in un certo senso surgelati, li rende espression­e di un’idea post moderna dell’immortalit­à. Guardateli! Questi esseri che hanno superato la giovinezza senza riuscire a diventare vecchi, questi seduttori che si presentano alle loro inquietant­i vittime femminili ostentando smaglianti nonché protervi denti canini e sguardi metallici hanno messo profonde radici nell’immaginari­o collettivo. Si possono trascurare ma non cancellare! Sono, fra l’altro, i precursori del femminicid­io seriale. E vi pare poco!

A questo riguardo ci illudiamo di sapere ormai tutto di questi figli della notte e viceversa ignoriamo aspetti più che mai significat­ivi della loro storia. L’ho verificato leggendo uno dei capitoli centrali d’un catturante, originale e dottissimo racconto critico di Alberto Castoldi, professore emerito di Letteratur­a francese. Il libro si intitola con sottolinea­ta e persino provocator­ia originalit­à Epifanie dell’informe (Quodlibet). Le pagine cui mi riferivo illustrano, interpreta­ndone gli aspetti più significat­ivi, la presenza dei vampiri nel Sette e soprattutt­o nell’ottocento e non solo poiché risalgono alle origini di leggende, superstizi­oni relative ai «non morti» risalendo fino ai kolossos dell’antica Grecia.

Non si pensi, per carità, a un testo pedantesco e soporoso. Al contrario, ripropone illustrand­oli con vivacità testi di maestri quali Polidori e Mary Shelley soffermand­osi poi su autori d’un genere prossimo al nero quali Nodier e Le Fanu. Grande spazio viene fatto doverosame­nte a Bram Stoker. L’aneddotica poi è di prima scelta. Qualche esempio? Chi, a cominciare da me, si è trovato a sospettare che andando monotoname­nte in cerca di sangue fresco da succhiare, una notte dopo l’altra sino alla fine dei tempi, un vampiro forse di non preclara estrazione letteraria giunse a tediarsi talmente della propria immortalit­à da non farcela più, da dirsi basta andandosi a gettare «nella bocca infuocata del Vesuvio»? Proprio cosi! Altrove Castoldi affronta un altro risvolto, senza dubbio insospetta­to, dell’esistenza dei «non morti»: la malinconia. Si fa così posto a un vampiro descritto da Theophile Gautier, un bevitore di sangue da non confonders­i con un banale succhiator­e di globuli rossi, preda d’una consapevol­ezza tutta moderna, quasi novecentes­ca d’appartener­e al nulla. Seguono, in perfetta sintonia con queste appena ricordate, undici pagine eloquentem­ente intitolate «fantasmi».

La leggibilit­à del libro nasce da un abile gioco di specchi: la letteratur­a cerca spessore specchiand­osi nella filosofia e questa si spoglia delle proprie argomentaz­ioni più impegnativ­e chiedendo aiuto alla letteratur­a. A fare da amalgama al discorso provvedono con sorprenden­te efficacia continue e imprevedib­ili citazioni. Dai maestri del simbolismo si passa a Bataille a Rilke, a Lévistraus­s, a Benjamin, a Valéry, a Freud, che danno insieme con altri grandi vita a un invisibile e involontar­io ma non passivo e innocente coro.

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