Brutale, ma soprattutto onesto Così Roth trascende la sua epoca
La perfezione di Pastorale americana, la forza del Lamento di Portnoy La lezione senza tempo del romanziere: la verità può essere esplosiva
Come per tanti, il mio primo «momento Roth» fu Pastorale americana, e tuttora lo reputo il suo romanzo più perfetto, oltre che uno dei maggiori libri del XX secolo. Per me fu esplosivo, dato che fino a quel momento, formatomi con i grandi romanzi dell’ottocento, avevo letto solo classici: Pastorale americana mi rivelò che esistevano anche capolavori contemporanei, e che quindi altri ne sarebbero stati scritti. Di più: che era tuttora possibile scriverne.
Ma la scoperta di Lamento di Portnoy fu ancor più rilevante, almeno per quanto riguarda il mio rapporto con Philip Roth. Venivo infatti da una delusione. Dopo Pastorale americana ero andato a dritto e avevo preso il primo suo libro che mi era capitato sott’occhio in libreria: era Ho sposato un comunista, un libro troppo, davvero troppo simile a quello che avevo appena letto. Anni dopo avrei scoperto che anche La macchia umana è così, il che, volendo, può essere letto come segno ulteriore della grandezza di Pastorale americana, un romanzo così enorme da generarne altri due, e non importa quanto il focus storico si sposti, non importa se si passa dalla degenerazione degli ideali degli anni Sessanta al maccartismo e poi al rigurgito moralista degli anni Novanta, il modello è così forte che si tratta sempre dello stesso libro.
Nonostante la mia delusione per Ho sposato un comunista, l’entusiasmo lasciato da Pastorale americana era tale che andai avanti e passai a un altro Roth, sempre secondo l’ordine casuale in cui li trovavo in libreria. Quello su cui misi le mani iniziava così: «Mi era così profondamente radicata nella coscienza, che penso di aver creduto per tutto il primo anno scolastico che ognuna delle mie insegnanti fosse mia madre travestita». Era Lamento di Portnoy,ea questo attacco che più freudiano non si può — Alex Portnoy sta del resto parlando col suo psicoanalista — sarebbe seguita una delle più rutilanti e comiche maratone sessuali a cui avrei mai assistito. Lì realizzai di avere a che fare con un gigante della letteratura. Non solo perché per fare un capolavoro può bastare un grandissimo scrittore, ma per farne due serve un gigante, ma anche perché Portnoy era qualcosa di totalmente diverso — sempre esplosivo, eppure totalmente diverso — da Pastorale americana.
Anni dopo, avrei scoperto che di Roth ce n’erano almeno altri tre: quello grave e malinconico del primo ciclo di Zuckerman; quello rinato di Operazione Shylock e del Teatro di Sabbath, che sarebbe poi culminato, già trasfigurato in altro, nel secondo ciclo di Zuckerman; e ancora quello tardo, il Roth delle riflessioni sulla morte. Del resto ci sono anche vari Roth in termini di alter ego: c’è Nathan Zuckerman; c’è il David Kepesh del Seno, del Professore di desiderio e dell’animale morente; c’è l’altro Philip Roth, quello bambino nel Complotto contro l’america, o adulto e addirittura raddoppiato in Operazione Shylock; e c’è Alexander Portnoy.
Spesso è stato scritto che il Roth maturo sarebbe quello che comincia con Operazione Shylock, e in effetti colpisce che proprio quando si cominciava a darlo per cotto, lui se ne uscisse con un capolavoro, poi un altro — Il teatro di Sabbath — e poi ancora un altro, e superiore ai precedenti: Pastorale americana. Tutto vero. Ma ho sempre pensato che il Roth maturo fosse già quello di Lamento di Portnoy, terzo romanzo e quarto libro (l’esordio, Goodbye, Columbus,è una raccolta di racconti). È lì infatti che Roth mette a punto il suo dispositivo chiave, che è anche la maggiore lezione che lascia a chi scrive: usa tutto quello che hai, niente è sacro, niente è vergognoso, niente è troppo doloroso.
Può sembrare brutale — e certo Lamento di Portnoy, quasi cinquant’anni di mutamenti sociali dopo, sa essere ancora brutale — ma in realtà è solo onesto: la vera, ultimativa onestà non può che essere brutale. E se nel 1969 la liberacopertina zione sessuale era già bella che esplosa, riguardava, come del resto riguarda adesso, solo una parte della popolazione: gli altri, e certamente gli adolescenti ebrei dell’epoca, erano ancora bloccati da un background familiare che impediva di accettare fino in fondo il fatto che, sì, pensare sempre al sesso è normale.
Ma se Lamento di Portnoy riesce a impressionare ancora, e ancora a far ridere — quante volte si legge, nella quarta di di libri a malapena buffi, la parola «esilarante»? Di libri davvero esilaranti ce ne sono pochissimi, e uno è questo —, è perché trascende la sua epoca, e sfiora già tutti i temi dell’autore: il Roth intermedio avrà pur interrogato i momenti chiave della storia e del costume degli Stati Uniti, ma lo fa già in Portnoy — solo, com’è naturale, cominciando da quello che gli stava più a cuore e che aveva tardivamente vissuto, la liberazione sessuale; il Roth anziano avrà pur portato a livelli ulteriori la riflessione sulla morte cominciata con Il teatro di Sabbath, ma già in Lamento di Portnoy, affermando che solo scopando si è, in ultima istanza, vivi, aveva cominciato — a suo modo — a imbastirla.
Insegnamenti
Il lascito a chi scrive: usa tutto ciò che hai, niente è sacro, troppo vergognoso o doloroso