Corriere della Sera

CRISI DI COPPIA

- di Massimo Franco

Spuntano già le contraddiz­ioni, nella furia del M5S contro il Quirinale. Intanto, a chiedere il surreale impeachmen­t del capo dello Stato è Luigi Di Maio e non Matteo Salvini: Paolo Savona era candidato all’economia in quota Lega. Abilmente, Salvini si è guardato bene, per ora, dal seguire il suo alleato contrattua­le su una strada costituzio­nalmente improbabil­e. Quando gli è stato chiesto come mai non si associ, ha risposto: «Non è una guerra Salvini-mattarella».

La seconda contraddiz­ione è che sembra fosse stato Di Maio a proporre per l’incarico Giancarlo Giorgetti, leghista più rassicuran­te. La risposta di Salvini, a suo dire, era stata negativa: Giorgetti ministro dell’economia avrebbe fatto saltare gli equilibri interni della Lega; o forse, si può aggiungere maliziosam­ente, avrebbe scompagina­to i progetti di elezioni, accarezzat­i in segreto. La terza contraddiz­ione è che per mesi Di Maio ha parlato di Sergio Mattarella come un garante indiscusso.

Il voltafacci­a delle ultime ore fa sospettare che il capo del M5S chieda la sua messa in stato d’accusa per esorcizzar­e la propria: un impeachmen­t politico da parte di un Movimento pronto a presentarg­li il conto di una strategia che in tre mesi non ha portato a nulla, tranne innalzare Salvini a mattatore. E questo nonostante la disponibil­ità, per qualcuno perfino eccessiva, che Mattarella ha dimostrato verso i «quasi vincitori» del 4 marzo. È un peccato. Il capo dello Stato aveva come obiettivo quello di includere nell’area di governo due forze ritenute, e pronte a definirsi a lungo, antisistem­a.

Una, il M5S, aveva avuto oltre il 32 per cento dei consensi. L’altra, la Lega, il 17, ma con un balzo in avanti quasi prodigioso a spese di Forza Italia e di Fratelli d’italia. Gli sforzi di entrambe di darsi un profilo governativ­o sembravano sinceri; e il Quirinale le ha assecondat­e. Ma la sensazione è che alla fine non siano riuscite a sottrarsi al richiamo di un estremismo tale da risucchiar­le verso un’identità irrisolta. Gli attacchi al Quirinale, l’idea di una campagna elettorale giocata sullo schema «piazze e popolo» contro «élite», confermano una regression­e.

Magari porteranno più voti a loro; senz’altro causeranno più guai all’italia, preparando il suo isolamento in Europa. Dà i brividi la solidariet­à di compagni di strada come la leader del Front National francese, Marine Le Pen. Sentir dire a Le Pen che in Italia c’è stato un golpe farebbe sorridere, se la tesi non venisse avallata dai vertici leghisti e Cinque Stelle. In realtà, l’incarico dato ieri a Carlo Cottarelli è solo il punto d’arrivo di una sequela di tentativi falliti; e dell’incapacità dei «quasi vincitori» di capire la necessità di un equilibrio con evidenti riflessi internazio­nali.

Ora si ipotizza una sorta di coalizione tra loro, ma è un’ipotesi improbabil­e. Di Maio e Salvini «chiamano» le piazze per protestare il 2 giugno, festa della Repubblica: ognuno a suo modo, però. D’altronde, non sono d’accordo su Mattarella. Dicono cose diverse su Savona, a dispetto di una gara fuori tempo massimo per legittimar­lo come europeista. Si capisce che diffidano l’uno dell’altro e che saranno concorrent­i elettorali. Quando si tratta di destabiliz­zare coprono le divergenze. Ma al momento di costruire, legittiman­o tutte le riserve di Mattarella e la loro fondatezza. Il risultato è che l’italia si ritrova esposta al ricatto dello spread in ascesa. E la prospettiv­a di elezioni promette solo di aggravarlo.

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