Corriere della Sera

Philip Roth, un addio privato

L’ultimo saluto all’autore nel cimitero del Bard College, dove riposa anche la filosofa

- di Pierluigi Panza

Funerale privato per Philip Roth al Bard College. Da domani, con il Corriere, la collana a lui dedicata.

Il funerale di Philip Roth si è tenuto ieri in forma privata nel cimitero del Bard College, nello Stato di New York. Nessuno, al di fuori di una ristretta cerchia di persone, ha potuto dare l’ultimo saluto a uno dei giganti della letteratur­a mondiale, morto a 85 anni martedì 22 maggio. Gli organi di stampa, hanno riferito dall’ateneo americano, non erano ammessi.

Roth se ne è andato così come aveva vissuto gli ultimi anni di vita: lontano dalla gente. La parte finale della sua esistenza l’aveva trascorsa ritirato nella casa dell’upper West Side, a Manhattan. Per gran parte dell’anno viveva lì, il resto lo passava nella residenza settecente­sca del Connecticu­t, al confine con il Massachuse­tts. Nel 2012, mentre si avvicinava alla soglia degli 80 anni, il grande romanziere annunciò al settimanal­e francese «Les Inrockupti­bles» che la sua carriera di scrittore sarebbe terminata lì. In verità, smise di scrivere due anni prima: la sua ultima opera è Nemesi, pubblicata nel nostro Paese da Einaudi, l’editore italiano

La decisione

Scelse di non scrivere più. Il saluto finale è stato proprio quello di un uomo che ne aveva abbastanza di tutto

di Philip Roth — per Mondadori è invece uscito il primo dei tre Meridiani, con la curatela di Elena Mortara; il secondo è in programma per il prossimo ottobre e sarà curato da Paolo Simonetti, mentre nella primavera 2019 sarà la volta del terzo, anch’esso a cura di Simonetti e con un saggio introdutti­vo di Alessandro Piperno.

Una delle persone con cui l’autore si sentiva regolarmen­te era Blake Bailey, che Roth aveva nominato suo biografo ufficiale. Lo scorso gennaio, Bailey aveva già messo insieme quasi duemila pagine di note sulla sua vita, che dovrebbero confluire in un libro lungo la metà. Lo stesso Bailey ha annunciato nei giorni scorsi all’agenzia stampa Jewish Telegraphi­c Agency che Roth aveva deciso di essere seppellito nel cimitero del Bard (dove si trova Hannah Arendt, 1906-1975), vicino al suo amico Norman Manea, lo scrittore ebreo romeno che abita negli Stati Uniti e insegna proprio in quell’ateneo. Roth ha anche chiesto che non venissero celebrati riti ebraici durante la cerimonia.

Il 12 settembre 2017 è uscita nelle librerie americane la raccolta Why Write? («Perché scrivere?»), che può essere considerat­a una sorta di testamento letterario di Philip Roth, sulla quale Bailey ha lavorato in qualità di supervisor­e. Si tratta del decimo e ultimo volume delle opere di Roth nell’edizione della Library of America. Proprio in Why Write?, Roth ha confessato che dal 2010 aveva «il forte sospetto di aver già realizzato le mie cose migliori e che ciò che avrei scritto dopo sarebbe stato inferiore».

L’ex direttore della rivista letteraria «Granta», John Freeman, ha scritto sul «Corriere» che Roth, «a differenza di tanti grandi scrittori, andò in pensione». Decise di smettere, scegliendo l’auto-esilio. E il saluto finale è stato proprio quello di un uomo che ne aveva abbastanza di tutto.

«Amor Mundi: Roth e Arendt, insieme per l’eternità». Con queste parole, apparse sul sito del Bard College, il mondo dà l’addio a un gigante. Lo scrittore Philip Roth, nato nel 1933 e morto lo scorso 22 maggio, a New York nel settembre 2010 (foto Reuters/ Eric Thayer)

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