Corriere della Sera

ALBUM DI FAMIGLIA

- di Angelo Panebianco

Tutto si svolge secondo copione: i «fautori del cambiament­o» cercano di scaricare sul presidente della Repubblica le colpe di un fallimento che è soltanto loro. Una parte ampia del Paese tira un sospiro di sollievo pensando che stava per formarsi un governo il quale, probabilme­nte — grazie alle sue brillanti idee sulla finanza pubblica e sul che fare in Europa — sarebbe riuscito a distrugger­e i risparmi degli italiani nel giro di sei mesi. Ma il sollievo può essere solo momentaneo.

N

on immaginiam­o passaggio solo perché, perché — elettorale. a comunque breve — ci un sarà termine cruciale Soprattutt­o da vada affrontare a finire, un si è cambiament­o prodotto in Italia. irreversib­ile Sbaglia chi crede, magari pensando alla vicenda del quasi governo Conte, che i partiti antisistem­a avranno un rapido declino. Poiché la ai storia più, non è un insegna fatto che mai in questo niente errore sono caduti in tanti, tutte le volte che un movimento entrato anti nell’area establishm­ent del potere: è «Lo manovrerem­o come ci pare genere, è stato Non via. più, e, italiana. manovrato poi, cambierà lo chi assunta getteremo quando ha pensato Dureranno presto e dalla non poi via». questo gettato servirà la politica fisionomia In le grandi cavalcate emergenti divisioni con E successo. dureranno che che le ora hanno la i politici attraversa­no. Le ridimensio­nato, nuove divisioni o che appannato, hanno sinistra/destra la tradiziona­le (quella distinzion­e che un tempo, ad esempio, opponeva l’ulivo prodiano al Polo delle libertà berlusconi­ano) hanno per oggetto le regole del gioco politico-istituzion­ale (quale sarà il «tasso di liberalism­o» che conserverà la nostra democrazia?), la collocazio­ne internazio­nale, l’immigrazio­ne. Queste novelle

divisioni, a altre vicenda, (come divisioni oltre si quella incontrano molto a influenzar­si Nord/sud) più antiche con disseminan­do esplosive. ovunque cariche

Le forze emergenti sono culturalme­nte ostili alla democrazia rappresent­ativa (liberale). Oggi come in passato, quando si evoca la «democrazia diretta», si sta in realtà auspicando una qualche forma di Führerprin­zip, di «principio della supremazia del capo». La polemica contro i «competenti» (come hanno osservato Alberto Alesina e Francesco Giavazzi su questo giornale), nonché la contrappos­izione fra il popolo innocente e le élites criminali, sono aspetti di questa sindrome.

I partiti antisistem­a Sbaglia chi crede che

avranno un rapido declino, pensando al quasi governo Conte

Il diffuso rigetto nei confronti della democrazia rappresent­ativa, delle sue regole, e delle istituzion­i liberali che la sorreggono, è il frutto di una trentennal­e, martellant­e, propaganda che ha dipinto la politica rappresent­ativa come un verminaio, il concentrat­o di tutte le lordure e le brutture, e i suoi esponenti come gente per la quale vale l’inversione dell’onere della prova: è ciascuno di loro che deve dimostrare di non essere un corrotto. Il lavaggio del cervello a cui il «circo mediaticog­iudiziario» ha sottoposto per decenni tanti italiani, ha funzionato. Complice la tradiziona­le debolezza della cultura liberale, molti si sono convinti che questo è, a causa della politica, il Paese più corrot- to del mondo o giù di lì, e che bisogna innalzare (per ora solo metaforica­mente; in seguito, si vedrà) la ghigliotti­na. È l’ostilità alla democrazia liberale che spiega i tentativi di «superare» la rappresent­anza moderna (i rapporti fra la Casaleggio Associati e i parlamenta­ri grillini richiedere­bbero più attenzione). Ed è sempre l’ostilità alla democrazia liberale e alle sue guarentigi­e a spiegare la furia giustizial­ista dei vincitori e del loro seguito. Pensate alla proposta di abolire la prescrizio­ne nei reati. Neanche ai fascisti era mai venuto in mente di sottoporre tanti poveri disgraziat­i alla tortura di provvedime­nti giudiziari senza data di scadenza.

Immigrazio­ne L’aggravamen­to del conflitto è anche frutto degli errori commessi dai governanti del passato

La seconda divisione investe la collocazio­ne internazio­nale dell’italia. Sul versante dell’europa come su quello dell’alleanza atlantica. Non è probabile che un governo grillo-leghista (o solo grillino o di centrodest­ra a dominanza leghista) che eventualme­nte si formi dopo le prossime elezioni decida formalment­e di uscire dall’euro o dalla Nato ma certamente ci sarebbero azioni tese ad allentare il più possibile il legame fra l’italia e i nostri tradiziona­li ancoraggi internazio­nali. Perché è quanto prescrive la visione «sovranista» dell’interesse nazionale. Una volta deciso — e fatto credere a tanti italiani — che i nostri mali siano stati causati dall’europa non resta infatti che la strada della contrappos­izione. E pazienza se la posi- zione negoziale italiana risultereb­be, al tavolo europeo, debolissim­a (Sergio Fabbrini, Sole 24 ore). Pazienza anche se in questo modo l’italia non potrebbe avere voce in capitolo quando si trattasse di correggere tutto ciò che non va (ed è molto) nella costruzion­e europea.

Anche sul secondo versante, quello atlantico, si preannunce­rebbero tempi duri. Forse la Nato ricorrereb­be a una qualche forma di cordone sanitario (Maurizio Molinari, La Stampa) in funzione anti italiana quando dovesse vedersela con l’orientamen­to filorusso (e antiatlant­ico nella sostanza anche se non nella forma) di un importante stato membro.

Da ultimo, l’immigrazio­ne. Genera ovunque conflitti ma l’aggravamen­to di questa divisione è anche il frutto degli errori commessi dai governanti del passato. Soprattutt­o, da coloro che hanno confuso il messaggio cattolico sul dovere dell’accoglienz­a con i doveri di chi governa una democrazia, coloro che non hanno capito che la società aperta non si difende senza una seria e rigorosa politica dell’immigrazio­ne. Gli stessi che, di fronte alla sfida islamica, hanno pensato che l’integrazio­ne dei musulmani si favorisca venendo a patti con i fondamenta­listi. Mentre richiede l’esatto contrario.

Forse gli uomini nuovi riuscirann­o a imporre, prima o poi, i cambiament­i che hanno in mente. O forse non ci riuscirann­o. Forse assisterem­o alla riscossa (in forme oggi imprevedib­ili) di chi si oppone al disegno sovranista. In ogni caso, ci si tolga dalla testa l’idea che si tratti di un fuoco di paglia o di un acquazzone estivo. Non è l’invasione degli Hyksos (gente arrivata nell’antico Egitto da chissà dove). Li abbiamo allevati noi.

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