Nelle Svalbard, più orsi che umani
Alle isole Svalbard, a nord della Norvegia, ci sono più orsi bianchi che residenti.
Tutti vorrebbero vederli, fotografarli, seguirli, specie se con i piccoli che trottano a fianco della madre. Oppure, gli esemplari di maschi forti, poderosi, dal pelo folto e immacolato, che nonostante la mole si tuffano agili dagli iceberg a caccia di foche. Affascinano e allo stesso tempo incutono un timore arcaico, primitivo, questi esseri tanto regali a noi figli urbanizzati di una civiltà che ha praticamente azzerato il rischio di essere sbranati vivi da un animale selvaggio. Frotte crescenti di turisti arrivano alle isole Svalbard con ogni mezzo per cercarli nei ghiacciai più remoti, quelli maggiormente distanti dagli effetti miti della corrente del Golfo.
Parliamo dell’orso bianco. Una presenza immanente e quasi ossessiva da queste parti. A vedere i cartelli che mettono in allarme sul rischio di essere aggrediti verrebbe da pensare che sia una minaccia continua. Invece, poi si scopre che l’ultima uccisa alle Svalbard è una ragazza nel 2012. Si parla di non più di cinque o sei morti in un ventennio. In questo contesto, le narrative delle sue aggressioni diventano come leggende mitiche, tanto rare quanto ingigantite dalla fantasia corale.
Pare che in tutto il mondo oggi vivano circa 26.500 orsi bianchi. La ricercatrice anglosassone Susan Crockford è certa che il loro numero sia in aumento. Ma a detta di Morten Joergensen, esperto in materia e noto fotografo norvegese della vita nelle regioni artiche, sarebbero invece in netta diminuzione. La peculiarità delle Svalbard è che la popolazione odierna degli orsi sfiora quota 3.000: più numerosi degli umani residenti. La foto del plantigrado in bianco troneggia ovunque: sule navi da crociera, nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Longyearbyen, negli hotel, tra gli uffici delle compagnie turistiche, alle vetrine dei negozi, dei ristoranti, sui muri dei è diventato un animale protetto. Ci sono grosse ammende e viene previsto perfino il carcere per chi lo disturba, anche solo per fotografarlo, oppure lo ferisce o uccide».
Guardare, ma discreti, da lontano, e certamente non toccare. «Alcuni ricercatori della base scientifica russa hanno pagato oltre 15.000 euro di multa per aver ucciso un orso senza fornire adeguate giustificazioni due anni fa. Noi consigliamo a tutti di avere un fucile di calibro superiore al 9 quando si esce di città e portare sempre pistole lanciarazzi per spaventarli. Ma se poi qualcuno spara sono guai seri. Per ogni orso ferito o ucciso si apre un’inchiesta come fosse un attentato ai danni di un essere umano», spiega Paul Lutnaes, consigliere per la difesa della natura e del turismo presso la stazione di polizia locale.
Certo è che oggi questi animali non temono più l’uomo come ai tempi del loro sterminio sistematico. «Una volta scappavano subito. Ora siamo noi a doverli tenere a distanza, specie i maschi giovani e affamati», racconta Stefano Poli, nato 50 anni fa a Milano e residente a Longyearbyen dai primi anni Novanta, dove ha allestito un ricco museo sulla storia delle spedizioni al Polo Nord e gestisce un’agenzia turistica. «Mi è successo più volte di dover abbandonare velocemente un sito a causa della loro presenza. Se non si va via in fretta, poi c’è il rischio di dover sparare».
L’italiano dei ghiacci Stefano Poli, milanese a Longyearbyen: «Mi è successo più volte di dover scappare»