Di Maio rischia tutto sull’asse con la Lega Ma la sua corsa è minata dai dubbi
Di Battista cauto sulla candidatura a premier: Luigi? Me lo auguro, dipenderà da lui
ROMA La notte di Fiumicino Luigi Di Maio l’ha detto chiaramente: «Ora Salvini deve andare fino in fondo». Ma il leader leghista nicchia e ammicca sornione se gli chiede se farà la campagna con il centrodestra o con i 5 Stelle. E così Di Maio si trova di nuovo in balia di un alleato che del tutto alleato non è e con un Movimento scosso dal fallimento di un governo mai nato. Non si contano più i dietrofront e i cambi di programma e per questo Di Maio ha deciso di puntellare la sua leadership traballante con un inasprimento di toni, che serve anche a fronteggiare l’esperienza «populista» della Lega. Così è stata lanciata una campagna elettorale a tappeto, che parte dai talk show (solo ieri Bruno Vespa, Lilli Gruber e Barbara D’urso), passa attraverso una simbologia da Quinto potere in salsa postmoderna (esibizione del tricolore e hashtag sui social #ilmiovotoconta) e arriva fino alla piazza (la manifestazione del 2 giugno). Con lo sfondo di una guerriglia parlamentare che rivendica un improbabile impeachment.
Quanto basta per lasciare perplessi più di uno nel Movimento. L’impeachment, per esempio, è considerato un errore da molti. Un deputato spiega: «Ma una cosa così grave perché non è stata decisa in assemblea? Perché dobbiamo sapere tutto dai giornali?». Una senatrice conferma: «Scelta sbagliata, non ci sono i presupposti». Ma nel mirino ci sono il dietrofront su Carlo Cottarelli, il cui piano era stato incluso nel programma, e la proposta del leghista Armando Siri a ministro: «Ma come — spiega un deputato — Siri è uno che ha patteggiato per bancarotta fraudolenta e noi che nel contratto abbiamo messo il divieto di ministri con condanne, lo proponiamo a Mattarella?».
Nel frattempo Alessandro Di Battista, in partenza oggi per San Francisco, ma pronto a tornare, risponde così alla domanda della Gruber se Di Maio sarà ancora il candidato premier: «Me lo auguro». Se lo «augura»? «Dipenderà da lui». Dunque un passo indietro non è affatto escluso. Nel frattempo Di Maio punta tutte le sue carte ancora sulla Lega, anche se pure stavolta la delusione è dietro l’angolo. L’obiettivo è un accordo elettorale esplicito, il che comporterebbe una modifica dello Statuto che vieta le coalizioni. E necessita di una rottura del rapporto tra Salvini e Berlusconi. Anche una spartizione dei collegi tra 5 Stelle e Lega dovrebbe passa- re dalla fine del rapporto con il centrodestra. Per questo Di Maio si rivolge alla sua piazza, tenendosi stretto il suo elettorato. Per questo chiede a tutti di esporre in casa quel tricolore che, a suo tempo, Umberto Bossi voleva usare impropriamente. Per questo convoca tutti il 2 giugno, festa della Repubblica. È vero che la Lega non è più nord, ma è anche vero che l’imprinting rimane quello, come conferma Roberto Calderoli: «Il 2 giugno? Sono fiero di non averlo mai festeggiato e non ci sarò neanche stavolta».
Se non parte un governo legittimato dall’aula, non scatta il secondo mandato e si ripresentano liste uguali Di Maio
Parto oggi ma tornerò non appena ci dovesse essere bisogno di me Tornerò quando ci sarà una data certa per il voto Di Battista