L’ambulanza assaltata e dirottata La banda impone chi soccorrere
Napoli, sequestrato l’autista dopo l’incidente a un ragazzo su uno scooter
NAPOLI All’autista che da venticinque anni passa la vita al volante di una ambulanza, una cosa così non era mai successa. E non solo a lui: non era mai successa in assoluto. Non era mai successo che qualcuno sequestrasse un’ambulanza e il suo conducente per imporre un soccorso che sarebbe stato più veloce e più efficace con una semplice telefonata al 118. Ma se l’ambulanza serve a una banda di gente che pare tirata fuori dalle peggiori scene di Gomorra, gente che nel migliore dei casi passa le serate a girare in moto per i vicoli dei Quartieri Spagnoli, allora sì, può anche succedere che vadano a prendersela personalmente.
È andata esattamente così l’altra notte al Vecchio Pellegrini, un ospedale con pronto soccorso che si trova in altri vicoli del centro di Napoli, quelli della Pignasecca, distanti solo poche centinaia di metri dai Quartieri Spagnoli. Non è ancora mezzanotte quando il cortile del Pellegrini viene invaso da almeno una dozzina di scooter. Rombano, sgommano, inchiodano. Quelli che scendono urlando dicono che vogliono un medico, perché c’è un loro amico ferito e deve essere soccorso.
Non funziona così, non è che i medici di un ospedale possono lasciare il reparto e andare a fare un intervento in un’altra parte della città. Ma quelli insistono. Hanno fretta e ritengono di avere anche ogni diritto. Persino quello di impossessarsi dell’ambulanza parcheggiata su un lato del cortile. È un mezzo del 118, l’equipe ha portato un paziente e ora sta aspettando che il pronto soccorso lo prenda in consegna e restituisca la barella.
Medico e infermiere sono in reparto, nei pressi dell’ambulanza c’è solo l’autista, Pasquale P., 58 anni, uno che con l’esperienza che ha pensava di averle viste tutte. E invece questa gli mancava. «A un certo punto me li sono trovati tutti attorno, hanno cominciato a strattonarmi per farmi salire in ambulanza. Uno mi ha sbattuto il casco su una spalla, un altro mi ha dato un calcio. Urlavano che dovevo andare a prendere il loro amico».
Pasquale prova a spiegargli che non può muoversi, ma quelli nemmeno lo ascoltano. E quando gli fa vedere che dietro non c’è la barella, un paio del gruppo entrano in reparto e ne escono trascinando un letto. È troppo grande, nell’ambulanza non c’entra. Ma quelli spingono, lo infilano in obliquo, rompono pure una delle bocchette di cui è dotato il mezzo. «E adesso vai, parti», ordinano a Pasquale. Uno gli si siede accanto, altri tre dietro. E a lui non resta che ubbidire. «Lungo la strada pensavo come me la sarei cavata una volta arrivato a destinazione. Senza medico, senza infermiere, senza nemmeno la barella, perché quel letto non mi sarebbe servito a niente, come avrei fatto a caricare un ferito? E però mi chiedevo come lo avrei spiegato a quei pazzi. Guidavo con tutti loro intorno, alla fine non potevo nemmeno correre».
La destinazione è un vicolo dei Quartieri dove due ragazzi della zona hanno fatto un incidente con lo scooter. Ci sono quattro feriti, e quando Pasquale arriva scopre che per fortuna qualcun altro ha telefonato al 118 e sono arrivate già due ambulanze. «I quattro che stavano con me sono scesi e hanno tirato fuori il letto facendo cadere il materasso e lasciandolo lì. Se ne sono andati e si sono completamente dimenticati di me, non gli servivo più. Li ho guardati, poi ho rimesso in moto e me ne sono andato. C’erano i colleghi, la mia presenza era inutile».
L’autista rientra al Pellegrini, e pochi minuti dopo arrivano anche due dei feriti, e di nuovo il cortile si riempie di scooter e di urla. Però adesso c’è pure la polizia, ed è una fortuna, perché uno dei feriti, un ragazzo di 17 anni, muore poco dopo essere stato portato in rianimazione, e amici e parenti scatenano l’inferno.
Scene già viste in molti casi di morti ammazzati: vetri rotti, porte sfondate, crisi di nervi. All’ambulanza e a Pasquale non pensa più nessuno. Però c’è un’associazione di medici che tiene il conto delle aggressioni, e questa è la trentasettesima del 2018. E stiamo ancora soltanto a maggio.