Corriere della Sera

Il Rinascimen­to è già qui

Scenari Un saggio di Ian Goldin e Chris Kutarna (il Saggiatore) invita a guardare con fiducia al futuro che ci attende Oggi le opportunit­à sono maggiori dei rischi. Ma bisogna saperle cogliere

- Di Daniele Manca

Stiamo vivendo in una nuova età dell’oro? Questo scorcio di terzo millennio è paragonabi­le come fermento creativo, capacità di innovazion­e e trasformaz­ione delle società, al Rinascimen­to? Diciamocel­o, la prima risposta che viene in mente è un bel «no». In un mondo sempre più piccolo, dove ogni singolo avveniment­o soprattutt­o negativo sembra fare il giro del pianeta in pochi secondi, gettando ombre e non certo luci sulla nostra vita, l’ultima cosa che ci verrebbe da pensare è un parallelo con quel fulgido periodo che fu il Rinascimen­to. Eppure è proprio in questo mix tra innovazion­e tecnologic­a e discontinu­ità create dalla velocità con la quale avvengono i cambiament­i, che starebbe la liceità del parallelo.

Ci sono studiosi, incuranti dei furori degli

Il terzo millennio si presenta come un territorio fertile se l’umanità farà in modo di lasciar germogliar­e il genio

storici e degli accademici (chissà se del tutto a torto), come Ian Goldin, docente di Globalizza­zione e sviluppo a Oxford, e Chris Kutarna, ricercator­e e membro della Oxford Martin School, che hanno voluto scrivere un saggio intitolato proprio Nuova età dell’oro (il Saggiatore). Ma siamo certi che l’ago della bilancia indichi indubitabi­lmente la zona delle opportunit­à e non quella dei rischi? Perché è questo ciò che nel senso comune rappresent­a la parola Rinascimen­to.

Quale che sia la risposta, facciamo fatica a mettere assieme il micro delle vite quotidiane, migliorate per molti nel mondo, e il macro rappresent­ato dalle continue tensioni tra Paesi ed economie. Si può anche aver passato indenni accadiment­i come quelli dei primi anni Duemila, dall’attentato alle Torri gemelle fino alla crisi del 2008; ma le ferite fisiche o anche solo psicologic­he si fanno sentire.

E così, come nel libro di Goldin e Kutarna, anche nell’ultimo lavoro di Yuval Noah Harari, Homo Deus (Bompiani), il tentativo è quello di convincere la parte di umanità che vive in Occidente, che deve abituarsi a collocare se stessa in un globo che si presenta ai suoi occhi ogni mattina come una sfida, uno scenario difficile da affrontare, incerto nel futuro, pronto a lasciarci indietro se non addirittur­a a lasciarci andare, ma che in realtà è territorio fertile se si riesce a cogliere occasioni, a lasciar germogliar­e il genio.

Non è facile. Soprattutt­o quando la politica che dovrebbe offrire orizzonti, una visione più tranquilli­zzante su quello che ci attende, non fa altro che reiterare allarmi e proporre arrocchi di fronte a una realtà che avanza, più che attacchi alla sua complessit­à. Goldin e Kutarna dicono: «L’umanità ha sempre avuto due strategie di sopravvive­nza, resistenza e resilienza. L’idea alla base della prima consiste nel rafforzare ogni parte in modo tale che sia meno probabile che si rompa… La seconda è diversific­are, in modo che, anche quando una parte si rompe, l’intero sia in grado di funzionare».

Difficile però diversific­are se ci si vuole rinchiuder­e all’interno dei propri confini, al multilater­alismo si preferisce un bilaterali­smo apparentem­ente più facile da gestire, ma che ci lascia in balia di un mondo sempre più complesso e privo di direzione. E ancora più difficile farlo se americani e britannici, un tempo difensori del libero scambio e dell’apertura, hanno scelto, con la presidenza di Donald Trump e la Brexit, di lavorare contro di essi.

Non meraviglia quindi che, sottolinea­no i due autori della Nuova età dell’oro, sia «l’estrema destra (che cerca di invertire la tendenza all’apertura della società verso omosessual­i, immigrati e responsabi­lità globali) sia l’estrema sinistra (che cerca di invertire la tendenza all’apertura della società verso il commercio e l’impresa privata)» godano «di successi elettorali in una buona parte del mondo sviluppato».

E allora, è possibile paragonare gli anni che, dal 1450 al 1520, videro la «fioritura del genio» in Europa a questo periodo così convulso? La scoperta dell’america e la caduta del Muro di Berlino, l’invenzione della stampa di Gutenberg e Internet, il diffonders­i degli strumenti finanziari della Firenze dei Medici e il libero scambio, so- no solo suggestivi paralleli o possono aiutarci a mettere il mondo in una «prospettiv­a»? A fare come diceva Leonardo per gli artisti: «La prospettiv­a è guida e porta, e senza di quella nulla si fa bene»?

Non basta elencare i numerosi obiettivi raggiunti in questi anni per convincere chi ha vissuto in età di continuo sviluppo. Come quel miliardo di persone che dal 1990 a oggi sono uscite dalla povertà. O il fatto che abbiamo imparato, anche se non vogliamo completame­nte rendercene conto, a combattere fame, guerre e invasioni. Come racconta Harari, per la prima volta nelse la storia muoiono più persone perché mangiano troppo di quelle che muoiono perché mangiano poco, e infinitame­nte di più muoiono di vecchiaia di quelle che soccombono alle infezioni.

La verità è che vediamo i rischi, non le opportunit­à. Come coloro che, imprese o cittadini che fossero, nella recente crisi, invece di imparare a essere resilienti e a diversific­are, hanno pensato solo a resistere difendendo­si, senza investire sul futuro. Quanti di loro hanno capito che le città stavano diventando il motore dello sviluppo? Oggi le metropoli generano i quattro quinti dell’attività economica globale. Le cento città maggiori producono il 40% del Prodotto interno lordo mondiale. E non si tratta solo delle solite New York, Singapore e Tokyo. Ma anche dei primati di Tel Aviv nella tecnologia, di Copenaghen nelle criptovalu­te, quelli della nostra Milano nel campo delle eccellenze nella scienza, nella comunicazi­one e nel design.

Le tensioni che viviamo quotidiana­mente sono figlie di questo mondo che cambia. Guai a dimenticar­e che un dollaro su quattro guadagnato nel mondo oggi arriva «dalla vendita di beni ad altre nazioni». O che il valore assoluto sia passato da 3.500 miliardi di dollari del 1990 a 20 mila miliardi odierni; passando per di più attraverso crisi come quella del 2008.

Resta la percezione del rischio. La percezione di un mondo senza guida. Dove il Fisco non riesce più a essere il motore della redistribu­zione del reddito. Dove la finanza, originaria­mente lo strumento che doveva fare arrivare soldi alle attività che non ne avevano per potersi avviare, si è trasformat­a in elemento di disordine. E dove, più che l’allargamen­to progressiv­o del benessere raggiunto, prevale la paura della sua perdita.

Non basta allora accontenta­rsi di comprender­e il cambiament­o. Si devono ritrovare quella curiosità intellettu­ale e l’ambizione culturale che fecero grandi l’europa e il mondo intero. Soprattutt­o devono ritrovarle quelle persone che ogni giorno hanno l’ambizione di gestire la delega di potere che a ogni elezione ci chiedono.

Serve più resilienza: la capacità di fornire risposte diversific­ate alle nuove sfide invece di opporre una resistenza rigida

 ??  ?? Venus after Botticelli, un’opera realizzata nel 2008 dall’artista cinese Xin Yin (1959), serigrafia, courtesy Duhamel Fine Art, Parigi
Venus after Botticelli, un’opera realizzata nel 2008 dall’artista cinese Xin Yin (1959), serigrafia, courtesy Duhamel Fine Art, Parigi

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