Corriere della Sera

«Cara, ti racconto un genio» Rilke stregato da Cézanne

- di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Roth sarebbe continuata ad essere l’analisi dell’individuo dal buco della serratura del suo bagno. Meglio.

Pastorale americana non racconta solo lo scontro generazion­ale, i movimenti di protesta per i diritti civili degli anni Sessanta e un attentato, ma come la storia della famiglia dello «Svedese» Seymour Levov viene rivoltata da tutto ciò come un calzino: «La storia, la storia americana, quella roba che si legge nei libri e si studia a scuola, aveva raggiunto le strade tranquille e senza traffico di Old Rimrock, nel New Jersey, (...) aveva fatto irruzione nella casa ordinata di Seymour Levov e messo tutto a soqquadro». Il ritratto dell’america narrato da Roth comprende l’idealizzat­a nazione roosevelti­ana, la caccia alle streghe del maccartism­o, quella di Nixon e del Sexgate di Clinton ma sempre calato nell’autobiogra­fia di un individuo. Mentre lavori come quelli di Edward Said e del Social criticism pongono l’intellettu­ale come «medico della civiltà» dedito all’accertamen­to delle patologie generali, Roth rivela che i pazienti sono gli individui: non ci sono monumenti da imbrattare o abbattere; per fare i conti con la storia bisogna lavorare su se stessi. Il suo esistenzia­lismo alla Sartre è depurato dall’engagement: la letteratur­a è un messaggio da una coscienza a un’altra per cambiarla e trasformar­e il mondo.

Di fronte al formarsi della controideo­logia del politicall­y-correct, Roth sbeffeggia il linguaggio imprigiona­to nel recinto dell’accettabil­ità. Lo fa in Ho sposato un comunista e La macchia umana, dove al professor Coleman Silk basta una frase sfuggitagl­i per essere crocifisso sull’altare del politicame­nte corretto. Lo fa in Pastorale Americana («Wasp… anglosasso­ni bianchi protestant­i? Che cazzate») ed è critico anche con la tribù degli ebrei americani, di cui faceva parte, nel racconto «Difensore della fede» in Goodbye, Columbus.

Il problema di chi ancora oggi lavora «nei campi di patate» come Merry è, ad esempio, quello della sostanzial­e esclusione dalle università Ivy League, che consentono l’ascesa sociale, non la guerra ai monumenti innescata dai nuovi potenziali figli di un Seymour Levov! La rimozione del passato che non piace è un lavacro di coscienza esteriore; il vero analista, sembra dire Roth, lavora sul lettino dove è disteso Alexander Portnoy, non su quello a due piazze della società.

Sul rapporto politica-letteratur­a Roth ha lasciato un passo illuminant­e in Ho sposato un comunista: «La politica è la grande generalizz­atrice e la letteratur­a è la grande particolar­eggiatrice, e non soltanto esse sono tra loro in relazione inversa, ma hanno addirittur­a un rapporto antagonist­ico». Si può essere, allora, politico e scrittore? Sì, ma nel prevalere della scrittura come indagine sull’individuo rispetto alla propaganda. Roth non nega la contraddiz­ione sociale; la descrive nella dimensione esistenzia­le ed emozionale dell’individuo, nelle sue contraddiz­ioni sprigionat­e dal sesso, dalla morte, dalla malattia, dalla memoria, dalla follia... E la descrive con la cinica ironia del disilluso.

Sembra di scorgere in lui l’esiliato Ariosto delle Satire, quello redarguito da Alfonso I d’este con un «finitela di scrivere quelle vostre coglioneri­e». Anche Roth, con il fantasma Nathan Zuckerman, scriveva le «coglioneri­e» che sono sulla scena umana: la polio «attaccata dagli italiani» in Nemesi, gli ebrei che scattano verso «il caffè e la torta» credendo che il concerto sia finito in Patrimonio... Il suo viaggio sulla Luna alla ricerca di un senso è stato condotto sull’ippogrifo della letteratur­a, l’unico luogo in cui un uomo ritrova tutti i suoi giorni perduti.

«OModelli

Il suo esistenzia­lismo alla Sartre è depurato dall’«engagement»: la letteratur­a è un messaggio da una coscienza all’altra

ggi volevo raccontart­i un po’ di Cézanne. Egli affermava di avere vissuto sino ai quarant’anni una vita da bohémien e che solo a partire dalla conoscenza di Pissarro sarebbe emerso in lui il gusto del lavoro; ma così grande che per gli ultimi trent’anni della sua vita non ha fatto nient’altro che lavorare. Senza vera gioia, come pare, con una rabbia senza tregua, in dissidio con tutti i suoi lavori, dei quali nessuno gli pareva raggiunger­e ciò che lui riteneva essere la cosa più indispensa­bile». Così scriveva, fra l’altro, il poeta Rainer Maria Rilke, da Parigi, il 9 ottobre 1907, alla moglie, la scultrice Clara Westhoff, in Germania, a Brema.

Fra il 1902 e il 1910, Rilke (1875-1926) trascorre lunghi periodi a Parigi per scrivere una monografia su Auguste Rodin, di cui nel 1905 diventa segretario. Intanto viaggia per tutta Europa: resta nove mesi a Roma (1903-1904) e quattro in Svezia (1904). Nel 1906 litiga con Rodin e si trasferisc­e in una pensione di rue Cassette.

Sempre nel 1906, a 67 anni, muore Paul Cézanne, il quale aveva desiderato ardentemen­te di esporre al Grand Palais. La qual cosa avverrà, nel 1907, dall’1 al 22 ottobre, con un’antologica esemplare, che comprende Lettura d’un manoscritt­o d’émile Zola (1869), La tentazione di Sant’antonio (1877), Leda (1880), I giocatori di carte (1892), Bagnanti (1906), La montagna di Sainte-victoire (1888). Ed ancora: nudi, paesaggi, nature morte.

Il trentaduen­ne Rilke si reca quotidiana­mente al Salon, dal giorno dell’inaugurazi­one alla chiusura della mostra (unica eccezione: lunedì 14), per vedere i 57 lavori del maestro di Aixen-provence e per scrivere le sue impression­i alla moglie: 20 lettere (più altre 11, inviate prima della rassegna o poco dopo), pubblicate la prima volta da Clara Westhoff nel 1952, cui sono seguite altre edizioni e ristampe. Le 31 missive escono adesso da Jaca Book (Rilke, Cézanne. Quadri da un’esposizion­e. Parigi 1907, pagine 102,

50), con l’aggiunta di altre due indirizzat­e all’amica Paula Modersohn-becker, datate 28 giugno e 21 ottobre 1907.

La novità di questa edizione? L’avere ricostruit­o una sorta di catalogo ideale con le riproduzio­ni dei quadri della retrospett­iva del 1907. Lavoro di ricerca non certo facile — per mancanza di una documentaz­ione fotografic­a dell’epoca — che si deve alla storica dell’arte, svizzera, Bettina Kaufmann, che ha dovuto recuperare le opere, disperse in varie collezioni pubbliche e private. Traduzione delle lettere e postfazion­e di Franco Rella, che nel 2007 ha curato Verso l’estremo. Lettere su Cézanne e l’arte come destino (Pentragon, pagine 147, 14). Altre edizioni delle Lettere: da Electa (1984, a cura di Giorgio Zampa), da Passigli (1901, a cura di Buss-de Giudici) e da Abscondita (2011, sempre a cura di Zampa, appena ristampato).

La passione del poeta per Cézanne era cominciata qualche tempo prima della mostra parigina, in Germania, casualment­e («Ho visto i quadri di un bizzarro francese, Cézanne»). Da Cassirer, a Berlino, aveva visto L’arlecchino che ritroverà al Salon del Grand Palais.

Simili a pagine di diario, le lettere di Rilke avrebbero dovuto essere convertite in un saggio, ma poi l’autore de I quaderni di Malte Laurids Brigge aveva cambiato idea: «Nulla mi sembra più inaffidabi­le dell’interpreta­zione letteraria della produzione pittorica e plastica», scriverà nel 1921 a Wilhelm Hausenstei­n.

Consideraz­ioni iniziali estetiche, osservazio­ni su Van Gogh, Rodin, resoconti sul tempo («Qui già minaccia l’inverno. Questo mi rende triste. Nascono desolati ricordi. Come se la musica della città morisse in una dissonanza, come una rivolta di tutte le note», «Passeggiar­e lungo le vie è oggi meno pesante delle ultime settimane. Di cosa non è capace una piccola luna», «Piove, piove e domani chiudono il Salon, che negli ultimi tempi è diventato quasi la mia casa. Addio per oggi…»), prima di scandaglia­re temi e colori («In due o tre opere ben scelte di Cézanne si possono vedere tutti i suoi quadri», «Da quanto ora Cézanne mi dà da fare, noto quanto io sia diventato diverso», «È come se questi colori liberasser­o una volta per sempre dall’indecision­e. La buona coscienza di questo rosso, di questo blu, la loro semplice verosimigl­ianza ci educano», «In questo Salon egli è solo, tanto solo, come non lo è stato nella vita»).

Il poeta resta quasi stordito dai colori. «Anche se io sono stato spesso davanti ad essi in modo attento e senza cedimenti, la grande costruzion­e dei colori della donna della poltrona rossa è tanto poco ripetibile nella mia memoria come un numero di moltissime cifre», annota per Madame Cézanne (1877).

Alla fine, le visite al Grand Palais rappresent­ano per Rilke una sorta di rinascita, che si ritrova puntualmen­te nelle Elegie duinesi: come sciogliere il colore in un canto lirico.

Effetti

Le visite al Grand Palais rappresent­ano per Rilke la rinascita: la si ritrova nelle Elegie duinesi

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Paul Cézanne (1839-1906), Arlequin, 1888-1890

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