Corriere della Sera

Viaggio a Gerusalemm­e Tre voci raccontano la città più contesa al mondo

- di Beppe Severgnini

e nel settimanal­e in edicola

T rent’anni fa, primavera. Avevo trentun anni, una moglie, niente figli, molto entusiasmo e notevole energia. Ero appena rientrato da Londra, dov’ero stato corrispond­ente tra il 1984 e il 1988. Il direttore mi ha mandato a chiamare e mi ha detto: «Adesso vai un mese o due in Israele». Due mesi in Israele? Ma ne so poco o nulla! Risposta: «Appunto. Così impari».

In Israele non ero mai stato, ed era in corso la prima intifada (rivolta palestines­e). Ma a un direttore come Indro Montanelli si obbediva volentieri, anche perché aveva l’abitudine di spiegare le decisioni. «Vedi, se vuoi diventare un giornalist­a in grado di muoversi nel mondo, devi passare un po’ di tempo in America, in Russia, in Cina e in Medio Oriente. Di uno di questi posti, magari, diventerai un esperto. Ma anche gli altri ti serviranno. Resta un mese in Israele e ti sarà utile per tutta la vita. Ciao e buon viaggio. Ti aiuterà Dan Segre, oggi lo chiamo».

Così sono andato. Mi sono fermato a Gerusalemm­e, all’hotel American Colony, dove ho conosciuto colleghi di larghe vedute, verso il Medio Oriente e verso le note-spese; ho viaggiato da Eilat al Golan, da Gaza a Hebron, da Beer Sheva a Haifa; ho ascoltato a lungo Dan Segre, il nostro corrispond­ente, e grazie a lui ho incontrato Shimon Peres e Amos Oz; ho parlato con soldati e kibbutznik­im, con coloni israeliani e ragazzi palestines­i; ho evitato qualche sassata. Non sono diventato un esperto, ma qualcosa ho capito. Una cosa su tutte: si tratta di luoghi complicati. Vanno trattati con cautela e rispetto.

Sono tornato in Israele altre volte, da allora: anche pochi mesi fa. Non sono diventato un esperto, come Montanelli aveva pronostica­to. Lo trovo un Paese affascinan­te. Ma quando accadono tragedie come a Gaza — 62 morti e migliaia di feriti tra i manifestan­ti — cerco di capire. Mi sembra di poter dire che Gaza sia una prigione a cielo aperto. Che Israele non possa tenerla in quelle condizioni, né reagire come ha fatto. Che l’egitto non collabori. Che Hamas cerchi martiri, non soluzioni. Che la dirigenza palestines­e sia catastrofi­ca a Gaza, e inetta in Cisgiordan­ia. Che Donald Trump sia stato provocator­io, quando ha trasferito l’ambasciata Usa a Gerusalemm­e.

Al centro di tutto sta proprio Gerusalemm­e. Se il futuro della città non verrà chiarito, la pace non arriverà mai. Abbiamo chiesto a Davide Frattini, il corrispond­ente del Corriere, di introdurre la questione; e a tre residenti di raccontare il rapporto con la città. Un monsignore cristiano, un libraio musulmano, una giornalist­a ebrea. Pierbattis­ta Pizzaballa è amministra­tore apostolico del Patriarcat­o latino, dopo essere stato per dodici anni Custode di Terra Santa. Il palestines­e Mahmoud Muna ha aperto una libreria a Gerusalemm­e Est, dopo aver studiato in Inghilterr­a. Rossella Tercatin si è trasferita da Milano a Gerusalemm­e, s’è sposata e sta lanciando una startup giornalist­ica, Pressource­s. Non abbiamo proposto un dibattito; abbiamo chiesto di raccontarc­i la città che abitano e che amano (pag 16-27). Cos’è, per voi, Gerusalemm­e? Le risposte sono dirette e sincere: leggetele con attenzione.

Rossella, sul suo profilo Twitter, si presenta con un insegnamen­to tratto da Pirkei Avot (Etica dei Padri): «Chi è saggio? Chi impara da ogni essere umano». Aggiungo questo, dalla stessa fonte: «Non giudicare gli altri, finché non ti sei trovato al loro posto». Che dite? Mi sembrano buoni consigli, non solo a Gerusalemm­e.

Laboratori­o

Un cristiano, un musulmano e un’ebrea parlano della città più contesa al mondo

Il reportage

Il corrispond­ente del Corriere da Israele racconta le prove per il Paese di domani

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