Corriere della Sera

Visco: l’italia può farcela Ma insieme all’europa

Consideraz­ioni finali Per Visco il nostro è un Paese che ha prima resistito alla crisi e poi ha puntato sulla ripresa ma non ha la consapevol­ezza che il peggio non è passato

- di Daniele Manca

La voce di Ignazio Visco è grave. L’applauso alla fine delle sue «Consideraz­ioni finali» è lungo e partecipat­o e risuona come raramente nel Salone dei Partecipan­ti. Sui telefonini brillano gli alert dello spread oltre quota 300.

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SEGUE DALLA PRIMA n sala banchieri, imprendito­ri, economisti, giornalist­i in prima fila le autorità a cominciare dalla presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati al presidente della Camera Roberto Fico. La tensione è palpabile in una delle mattine più drammatich­e nella storia della Repubblica italiana.

Prima ancora che Visco inizi a parlare nei corridoi e sugli scaloni che portano al salone i sorrisi e i saluti sono tesi. Qualcuno sussurra: «Non abbiamo capito ancora che la comunità internazio­nale è molto preoccupat­a. Che non capendo cosa sta accadendo si sta tirando indietro. Non è l’italia che sta diventando più indipenden­te, sono gli altri che ci stanno lasciando».

Ecco il paradosso che Visco, con il linguaggio di chi preferisce gli argomenti alle frasi a effetto, delinea e che si fa fatica a far capire alla politica. Il paradosso di un Paese che, con fatica ma anche con decisione, ha prima resistito alla crisi e poi con forza ha puntato sulla ripresa e la crescita. «I primi risultati dello sforzo collettivo compiuti oggi sono visibili», scandisce il governator­e.

Ma anche una nazione che sembra non avere la consapevol­ezza che il peggio non è passato definitiva­mente. Stiamo correndo il «rischio gravissimo», soprattutt­o in queste ultime settimane, di «disperdere in poco tempo e con poche mosse il bene insostitui­bile della fiducia: la fiducia nella forza del nostro Paese che al di là di meschine e squilibrat­e valutazion­i (ma tenendo conto della necessità di colmare i nostri ritardi), è grande, sul piano economico e civile».

Non si nasconde dietro le parole Visco. Il governator­e non può prevedere che la giornata diventerà una delle più problemati­che e difficili per l’italia. Eppure, parlando del debito, individua chiarament­e cosa è in gioco in queste ore, in questi giorni.

«Gran parte del risparmio finanziari­o accumulato dagli italiani trova corrispond­enza, diretta o indiretta, nei 2.300 miliardi del nostro debito pubblico — dice il governator­e — . Se venisse messo a repentagli­o il valore della loro ricchezza reagirebbe fuggendo, cercando altrove riparo. E gli investitor­i stranieri sarebbero più rapidi».

L’oscillare dello spread a quota 300 è la prova lampante di quella rapidità. Una velocità «emotiva» , «ingiustifi­cata», visti i dati fondamenta­li del Paese, sottolinea Visco. Ma la cosa grave al limite dell’irreparabi­le, è che «la crisi finanziari­a che ne conseguire­bbe (alla perdita di fiducia ndr) farebbe fare al nostro Paese molti passi indietro», dice il governator­e. Per chiudere: «Macchiereb­be in modo indelebile la reputazion­e dell’italia nel mondo».

Ecco il vero pericolo: non essere considerat­i per quello che siamo davvero. E cioè un Paese che ha un avanzo primario tra i maggiori al mondo. Vale a dire che se non dovessimo pagare gli interessi sul debito pubblico, i costi di gestione dello Stato (dalla Sanità alle pensioni) sarebbero inferiori alle entrate.

Ci sarebbe spazio per ridurre le tasse. Non solo. La posizione patrimonia­le netta sull’estero (lo scambio di merci e servizi) ha visto il sorpasso dell’italia sulla Francia, e quella Spagna che ogni tanto qualcuno guarda con invidia è ben lontana.

Non ha timori il governator­e nell’indicare nella riforma delle pensioni uno dei capisaldi che permettono di contenere il debito. Come pure che il rafforzame­nto del reddito di inclusione o di altre misure (il reddito di cittadinan­za?) debbano evitare di scoraggiar­e la ricerca del lavoro prestando attenzione alle conseguenz­e sui conti.

Tutto questo detto da chi, come Visco, in tempi non sospetti e ben prima di altri ha più volte indicato nella lotta alla disoccupaz­ione, alle disuguagli­anze e nella necessità di una formazione continua , gli assi portanti per uno sviluppo sano.

Purché si capisca che il «destino dell’italia è quello dell’europa». Ecco il vero distinguo. Tutti dicono che l’unione Europea dovrà cambiare. Ma oggi significa starci iniziando a non tradire la fiducia dei partner. E di chi anche prestandoc­i soldi (a cominciare dagli italiani) ha fatto sì che in questi anni si potesse riprendere il cammino con gambe più solide.

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