Visco: l’italia può farcela Ma insieme all’europa
Considerazioni finali Per Visco il nostro è un Paese che ha prima resistito alla crisi e poi ha puntato sulla ripresa ma non ha la consapevolezza che il peggio non è passato
La voce di Ignazio Visco è grave. L’applauso alla fine delle sue «Considerazioni finali» è lungo e partecipato e risuona come raramente nel Salone dei Partecipanti. Sui telefonini brillano gli alert dello spread oltre quota 300.
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SEGUE DALLA PRIMA n sala banchieri, imprenditori, economisti, giornalisti in prima fila le autorità a cominciare dalla presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati al presidente della Camera Roberto Fico. La tensione è palpabile in una delle mattine più drammatiche nella storia della Repubblica italiana.
Prima ancora che Visco inizi a parlare nei corridoi e sugli scaloni che portano al salone i sorrisi e i saluti sono tesi. Qualcuno sussurra: «Non abbiamo capito ancora che la comunità internazionale è molto preoccupata. Che non capendo cosa sta accadendo si sta tirando indietro. Non è l’italia che sta diventando più indipendente, sono gli altri che ci stanno lasciando».
Ecco il paradosso che Visco, con il linguaggio di chi preferisce gli argomenti alle frasi a effetto, delinea e che si fa fatica a far capire alla politica. Il paradosso di un Paese che, con fatica ma anche con decisione, ha prima resistito alla crisi e poi con forza ha puntato sulla ripresa e la crescita. «I primi risultati dello sforzo collettivo compiuti oggi sono visibili», scandisce il governatore.
Ma anche una nazione che sembra non avere la consapevolezza che il peggio non è passato definitivamente. Stiamo correndo il «rischio gravissimo», soprattutto in queste ultime settimane, di «disperdere in poco tempo e con poche mosse il bene insostituibile della fiducia: la fiducia nella forza del nostro Paese che al di là di meschine e squilibrate valutazioni (ma tenendo conto della necessità di colmare i nostri ritardi), è grande, sul piano economico e civile».
Non si nasconde dietro le parole Visco. Il governatore non può prevedere che la giornata diventerà una delle più problematiche e difficili per l’italia. Eppure, parlando del debito, individua chiaramente cosa è in gioco in queste ore, in questi giorni.
«Gran parte del risparmio finanziario accumulato dagli italiani trova corrispondenza, diretta o indiretta, nei 2.300 miliardi del nostro debito pubblico — dice il governatore — . Se venisse messo a repentaglio il valore della loro ricchezza reagirebbe fuggendo, cercando altrove riparo. E gli investitori stranieri sarebbero più rapidi».
L’oscillare dello spread a quota 300 è la prova lampante di quella rapidità. Una velocità «emotiva» , «ingiustificata», visti i dati fondamentali del Paese, sottolinea Visco. Ma la cosa grave al limite dell’irreparabile, è che «la crisi finanziaria che ne conseguirebbe (alla perdita di fiducia ndr) farebbe fare al nostro Paese molti passi indietro», dice il governatore. Per chiudere: «Macchierebbe in modo indelebile la reputazione dell’italia nel mondo».
Ecco il vero pericolo: non essere considerati per quello che siamo davvero. E cioè un Paese che ha un avanzo primario tra i maggiori al mondo. Vale a dire che se non dovessimo pagare gli interessi sul debito pubblico, i costi di gestione dello Stato (dalla Sanità alle pensioni) sarebbero inferiori alle entrate.
Ci sarebbe spazio per ridurre le tasse. Non solo. La posizione patrimoniale netta sull’estero (lo scambio di merci e servizi) ha visto il sorpasso dell’italia sulla Francia, e quella Spagna che ogni tanto qualcuno guarda con invidia è ben lontana.
Non ha timori il governatore nell’indicare nella riforma delle pensioni uno dei capisaldi che permettono di contenere il debito. Come pure che il rafforzamento del reddito di inclusione o di altre misure (il reddito di cittadinanza?) debbano evitare di scoraggiare la ricerca del lavoro prestando attenzione alle conseguenze sui conti.
Tutto questo detto da chi, come Visco, in tempi non sospetti e ben prima di altri ha più volte indicato nella lotta alla disoccupazione, alle disuguaglianze e nella necessità di una formazione continua , gli assi portanti per uno sviluppo sano.
Purché si capisca che il «destino dell’italia è quello dell’europa». Ecco il vero distinguo. Tutti dicono che l’unione Europea dovrà cambiare. Ma oggi significa starci iniziando a non tradire la fiducia dei partner. E di chi anche prestandoci soldi (a cominciare dagli italiani) ha fatto sì che in questi anni si potesse riprendere il cammino con gambe più solide.