RISCHI E SPIRAGLI
Forse è in atto un ripensamento. Forse, con un soprassalto di responsabilità e di realismo, Movimento Cinque Stelle e Lega potrebbero rallentare la corsa all’impazzata verso le elezioni anticipate. Luigi Di Maio, con un voltafaccia sconcertante ma salutare, si è rimangiato la messa in stato d’accusa di Sergio Mattarella: idea destabilizzante quanto fondata sul nulla.
O ra, Di Maio e il leader leghista Matteo Salvini sembrano intenzionati a riprendere il dialogo col Quirinale. D’altronde, la prospettiva di ereditare un’italia in macerie non è allettante: tanto più se provocata da un allarme in parte giustificato, in parte gonfiato, su ipotesi di uscita dalla moneta unica europea. Ma rimane sullo sfondo uno scenario preoccupante: quello ipotizzato come soluzione estrema alcuni mesi fa, nel caso non fosse stato possibile mettere in piedi una maggioranza. Per tutta la giornata di ieri, infatti, l’eventualità che si torni alle elezioni non in autunno, ma subito, il 29 luglio, sembrava tutt’altro che inverosimile. Il presidente del Consiglio incaricato, Carlo Cottarelli, è andato a riferire nel pomeriggio al Quirinale con una lista di ministri dai contorni indefiniti.
E oggi tornerà dal capo dello Stato, Sergio Mattarella: non è chiaro se per formare un governo che apra la strada allo scioglimento delle Camere; oppure per permettere al capo dello Stato di ricostruire con i «quasi vincitori» del 4 marzo una soluzione politica, in grado di evitare lo sfascio. L’epilogo di tre mesi tormentati avviene su uno sfondo a dir poco confuso. Nel momento in cui è stato insinuato nei mercati il sospetto di un’uscita dell’italia dall’euro anche solo come opzione, è schizzato in alto lo spread.
L’incognita è Salvini. Bisognerà vedere se è disposto davvero a riprendere il percorso interrotto sul «no» di Mattarella al professor Paolo Savona all’economia, ritenuto antieuro; o solo per concordare i passaggi che dovrebbero portare in breve alle urne. Sono frammenti ancora sparsi di una trattativa sfuggita di mano, e che nessuno fino a ieri sera sembrava in grado di ricomporre. Delinea un conflitto istituzionale che ha acuito le incognite sui tassi di interesse dei titoli di Stato italiani.
Ma l’offensiva per delegittimare le istituzioni è un fatto. E appare anche il frutto di due visioni inconciliabili della Costituzione. Da una parte, un capo dello Stato deciso a includere nel governo i «quasi vincitori» del 4 marzo. Ma senza rinunciare alle prerogative e ai poteri che la Carta prevede. Dall’altra Di Maio e Salvini, che hanno una visione della Costituzione «concreta» nella quale il premier è un loro mero esecutore; e il capo dello Stato una figura che, in quanto non votata dal «popolo», avrebbe solo un ruolo notarile.
Di qui il pericoloso cortocircuito politicoistituzionale. Col risultato di acuire le tentazioni di Salvini, sicuro di vincere sull’onda di una campagna contro il binomio Quirinale-ue; e quelle di Di Maio, spaventato da uno scollamento del M5S. In più, il commissario Ue tedesco Günther Oettinger ha regalato uno spot elettorale a M5S e Lega con parole irresponsabili sugli elettori italiani ai quali i mercati insegneranno a non votare «i populisti». Si è scusato ma ha portato acqua a chi, all’estero, conta di destabilizzare l’italia.