La strage del terrorista uscito di prigione
A Liegi ucciso l’attentatore, 31 anni. In un video grida «Allah Akbar»: si era radicalizzato in carcere
Ha aggredito due poliziotte con un coltello, a Liegi, ne ha disarmata una e con quell’arma, prima di essere abbattuto, le ha uccise. Così come ha ucciso un passante di 22 anni. Schedato come radicalizzato, il killer era uscito dal carcere lunedì.
LIEGI Tre morti e quattro feriti. Il terrore torna in Belgio con una sparatoria mattutina nel centro di Liegi, la principale città della Vallonia francofona. Una scena da far west — avvenuta nel pieno centro della città intorno alle 10.30 di mattina — che ha lasciato sull’asfalto due poliziotte e uno studente (oltre al killer ucciso dalla polizia) ma che rischiato anche di coinvolgere gli alunni di una scuola vicina. Il Belgio è così ripiombato nella paura provocate dai sanguinosi attentati all’aeroporto e nella metropolitana di Bruxelles il 22 marzo 2016.
Un video amatoriale ripreso da un residente affacciato al balcone e diffuso da media belgi immortala un uomo vestito di scuro e con scarpe sportive bianche. Nel sottofondo delle immagini si sente gridare «Allah Akbar» (Allah è il più grande, in arabo), presumibilmente dopo gli spari contro le due poliziotte.
Nella versione ricostruita dalla polizia l’uomo, armato di coltello, ha sferrato un primo attacco alle due agenti, 53 e 45 anni. Quando erano già a terra, si sarebbe impossessato della pistola d’ordinanza di una delle due donne per poi finirle. Poi ha sparato a un’auto di passaggio, uccidendo uno studente 22enne ormai prossimo alla laurea. Poi ha preso in ostaggio una donna nella vicina scuola Leonie de Waha. Una volta uscito è stato ucciso dalla polizia in uno scontro a fuoco dove altri quattro agenti sono rimasti feriti. Sentiti gli spari, molti passanti sono fuggiti terrorizzati in ogni direzione. La piazza Charlemagne, con statua equestre al centro di giardini, davanti al bar Aux Augustins, e la zona circostante sono state bloccate per consentire i rilievi degli agenti della polizia scientifica in tuta bianca mentre tende da campeggio rosse sono state utilizzate per coprire la vista dei corpi.
Per la magistratura belga è un atto di terrorismo, il responsabile è un pregiudicato per reati comuni e spaccio di droga. L’uomo, 31 anni, originario di Rochefort, risponde al nome di Benjamin Herman e secondo gli inquirenti si è radicalizzato in carcere. Poliderato zia e magistrati si sono limitati a confermare genericamente l’ipotesi di terrorismo, mantenendo l’abitudine a non indicare molti dettagli e particolari a caldo. Non sono emerse versioni dei difensori o dei familiari del presunto terrorista.
Tra i giornalisti e i cameramen di vari Paesi, che stazionavano ai limiti della zona inaccessibile, si era diffusa una indiscrezione giudiziaria su una perquisizione nella cella del presunto terrorista, dove sarebbero stati trovati un Corano e un tappeto per pregare. «Si era radicalizzato in carcere, aveva avuto contatti con alcuni estremisti», ha chiarito poi il procuratore di Liegi, Philippe Dulieu. Secondo un’altra fonte citata dall’agenzia Afp, Herman era in contatto con la «rete di un reclutatore islamista»
Herman era stato rilasciato dal carcere per un ennesimo permesso temporaneo, orientato a favorirne il reinserimento sociale in vista del termine della pena, previsto per il 2020. Inquisito per la prima volta giovanissimo, durante la detenzione era consi- di carattere chiuso e solitario. Potrebbe aver attirato l’attenzione di islamici che scontano pene per terrorismo, interessati a utilizzarne — come spesso avviene — anche le capacità criminali. Un omicidio di un altro pregiudicato e un furto in una gioielleria, avvenuti il giorno prima della sparatoria a Liegi e proprio nel suo luogo di origine Rochefort, potrebbero risultare collegati. La polizia locale non ha però fornito conferme.
Dubbi ha aperto la decisione di consentire a un detenuto con tali caratteristiche di poter utilizzare un permesso senza precauzioni o controlli adeguati.
Il premier belga Charles Michel, il re Filippo del Belgio e il ministro degli Interni Jean Jambon si sono subito recati a Liegi. Michel ha sostenuto che il nome di Herman non figurava nelle liste dell’antiterrorismo dei detenuti radicalizzati e che veniva citato in modo indiretto in tre rapporti di polizia relativi ad «altre persone e altre situazioni».