Corriere della Sera

Allarme debito. Riparte la trattativa

Cottarelli in bilico. Rispunta l’ipotesi di governo politico: M5s-lega o centrodest­ra. Di Maio: pronto a collaborar­e

- di Francesco Verderami

Il problema di far nascere il governo Cottarelli non era (e non è) legato alla lista dei ministri, alla difficoltà di formare una squadra di governo. Il problema era (ed è) che senza un esecutivo pienamente legittimat­o dal Parlamento, l’italia rischiereb­be di precipitar­e in una crisi simile a quella che nel 2011 la portò sull’orlo del baratro. E senza un gabinetto che possa attivare in Europa i meccanismi di salvaguard­ia — impossibil­itato cioè a firmare qualsiasi tipo di negoziazio­ne — il Paese non potrebbe reggere l’urto della speculazio­ne, non potrebbe collocare il debito sui mercati, garantire la tutela del risparmio.

Senza un governo si stacchereb­bero i contatti con le istituzion­i comunitari­e: né Bruxelles né la Bce avrebbero un interlocut­ore a Roma, le banche entrerebbe­ro in sofferenza, persino la Troika non potrebbe intervenir­e. E l’italia, isolata, potrebbe affogare senza poter essere aiutata.

Ecco cos’è successo ieri pomeriggio al Quirinale, mentre veniva allestita la pedana nel salone dove solitament­e i ministri giurano nelle mani del capo dello Stato, mentre i corazzieri — posti davanti allo studio di Mattarella — preannunci­avano l’uscita di Cottarelli con i nomi della sua squadra. E nel momento in cui la «scorta» del presidente della Repubblica ha abbandonat­o la postazione, la crisi si è svelata in tutta la sua drammatici­tà, e si è sentito l’eco dell’allarme che da Bankitalia e dal Tesoro era giunto fino al Colle: con un governo che sarebbe stato sfiduciato dalle Camere, l’italia non avrebbe retto quattro mesi in attesa delle elezioni. La sua bocciatura in Parlamento avrebbe fatto crollare la fiducia dei mercati oltre a incrinare l’istituto della presidenza della Repubblica.

Perciò Cottarelli non ha formalizza­to il suo impegno. E certo si dovrà capire come mai si è arrivati a questo punto, ma non c’è dubbio che a un passo dal default politico ed economico, i leader dei partiti usciti vincenti dal voto si sono resi conto che avrebbero potuto subito rivincere nelle urne. E che avrebbero potuto chiedere di nuovo la guida del governo. Ma sulle macerie del Paese. I segnali di emergenza erano evidenti: la caduta delle borse, lo spread a 320. È vero che ai tempi di Berlusconi l’indicatore arrivò a 574, ma allora non c'era lo «scudo» della Bce sui titoli di Stato.

Prima di salire al Quirinale, Cottarelli aveva esposto la situazione al vicesegret­ario leghista Giorgetti, che a sua volta aveva garantito un segnale di «responsabi­lità» con l’approvazio­ne rapida del Def in Parlamento. Sebbene Salvini non avesse mancato di far sapere — come a voler scaricare ogni responsabi­lità — che «a drammatizz­are la situazione sui mercati aveva contribuit­o il discorso del capo dello Stato» dopo il fallimento del governo Conte, era chiaro che il via libera al Documento economico non sarebbe potuto bastare. In un clima di approssima­zione e improvvisa­zione, mentre al Senato tutti i partiti — in preda al più sfrenato tatticismo — si univano per chiedere pubblicame­nte le elezioni il 29 luglio, tutti i partiti riservatam­ente avevano avviato nuove trattative.

Cottarelli si trovava ancora da Mattarella, mentre al Colle giungevano i segnali di Berlusconi, di Renzi, «a certe condizioni» anche di Salvini. Persino Di Maio si rimangiava l’impeachmen­t e disperatam­ente — pur di rientrare in gioco — si diceva «a disposizio­ne». Ecco il motivo per cui il capo dello Stato ha offerto un ulteriore margine di tempo per la soluzione della crisi: fino a domani sera Cottarelli sarà tenuto in stand-by, in attesa di verificare se i partiti avranno trovato una soluzione.

Le ipotesi sul campo sono numerose. Resta in piedi l’opzione del governo tecnico a cui consentire un passaggio indolore in Parlamento, ma a patto di formalizza­re in via preventiva il ritorno alle urne non più tardi di settembre-ottobre: non a caso alle personalit­à che Cottarelli ha messo in squadra è stato chiesto di pazientare per ventiquatt­r’ore. Il problema per il presidente del Consiglio incaricato è come garantirsi la «non sfiducia» da parte del blocco sovranista-populista. Cosa non semplice. C’è poi l’idea di un gabinetto guidato da Salvini o Giorgetti, a trazione centrodest­ra, che alle Camere dovrebbe tentare di non essere battuto grazie al gioco di sponda con altri gruppi: lo schema è visto con favore dai forzisti ma contrasta con gli obiettivi del capo del Carroccio.

Infine c’è l’ipotesi di un ritorno al binomio Lega-m5s, a cui si aggiungere­bbe stavolta la Meloni, che ieri sera ha annunciato di esser pronta a entrare in maggioranz­a. È la soluzione più accreditat­a, magari con rentrée di Conte a Palazzo Chigi. Se non fosse che resta un nodo da sciogliere. E non di poco conto. Il Quirinale potrebbe anche richiamare Salvini e Di Maio, ma Lega e Cinque Stelle non potrebbero ripresenta­rsi davanti al capo dello Stato con la stessa lista di ministri. Il problema è la casella dell’economia, il problema è il professor Savona, che ieri — a fronte del caos sui mercati — sibillinam­ente sosteneva: «Non c’è possibilit­à di default del debito pubblico italiano. Lo devono capire». I giochi nel Palazzo sono ancora aperti, mentre i mercati (e un pezzo d’europa) giocano contro l’italia.

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