Corriere della Sera

Serve un fondo paracadute

La proposta studiata da un gruppo di economisti al governo che verrà: assicurare in un Fondo tutti i titoli dell’eurozona

- di Milena Gabanelli

Se l’italia dovesse decidere di uscire dall’euro, dovrebbe versare alla Germania 443 miliardi; se dovesse uscire la Francia, ne dovrebbe versare a Berlino 65, la Spagna 381, e così via: il totale per la Bundesbank sono 923 miliardi. Questa è la posizione dell’entourage Merkel, e i numeri saltano fuori dai saldi del sistema di pagamento interbanca­rio europeo, denominato Target 2.

Questi saldi però hanno solo un significat­o contabile, come si evince da uno studio della London School of Economics, a meno che uno di questi Paesi non decida «domattina» di abbandonar­e l’euro. Quindi il problema è che se i tedeschi si stanno occupando della questione «saldi» vuol dire che stanno studiando il piano B della rottura dell’euro per fare bottino. È meglio saperlo per chiarire e negoziare in fretta questo punto insieme ai Paesi membri, anche perché in questo momento non abbiamo bisogno di aggiungere carburante alle speculazio­ni politiche.

L’invenzione dello spread

In queste settimane Francia e Germania stanno decidendo le regole di funzioname­nto dell’eurozona, e noi, terzo Paese per dimensione economica, a quel tavolo è come se non ci fossimo.

Il tema ruota attorno al debito pubblico: non riusciamo ad abbatterlo perché siamo amministra­ti da una pessima classe dirigente, ma è anche vero che su questo debito noi paghiamo interessi del 2,4% (negli ultimi giorni schizzati al 3,21%), mentre la Francia paga lo 0,7% e la Germania lo 0,4%.

A queste condizioni la consistent­e parte sana del Paese non ce la farà mai. Quando abbiamo deciso di adottare una moneta unica abbiamo rinunciato ai tassi di cambio, vuol dire avere un unico tasso di interesse e rischi condivisi. Tradotto: 100 euro di debito, valgono 100 euro tanto a Berlino quanto a Roma. Era così fino al 2010, quando è esplosa la crisi e la cancellier­a Merkel e il presidente francese Sarkozy hanno avuto paura che i vari governi nazionali non si mettessero in riga per pagare i debiti. Da allora ognuno per sé, ed è comparso lo «spread».

La conseguenz­a è che quando la Bce, secondo le regole previste, presta dei soldi alle banche dei vari Paesi dell’eurozona, applica tassi di interesse diversi, a seconda del grado di rischio: diciannove Paesi e diciannove tassi diversi.

Perdite di tempo e regole capestro

Le regole che si stanno definendo per noi potrebbero essere un cappio: le banche devono accantonar­e l’equivalent­e dei loro crediti deteriorat­i. Significa che le nostre banche non potranno permetters­i di prestare soldi a quell’azienda in difficoltà, a cui basterebbe un po’ di liquidità per ripartire. E più aziende chiudono in Italia e meglio andranno le concorrent­i tedesche o francesi.

Per quel che riguarda il debito dello Stato, non si deve sgarrare dai parametri del fiscal compact, e quindi: riduzione della spesa e aumento delle tasse (vedi Iva).

Ma c’è una novità: la possibilit­à di partecipar­e alla creazione di un fondo che compra un po’ di debiti (inclusi i nostri) degli Stati membri.

Un fondo che si finanzia emettendo titoli con due tassi d’interesse: uno più alto perché più rischioso, in quanto legato al debito dei Paesi messi come Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, e uno più basso legato al debito di Paesi considerat­i sicuri come Francia e Germania.

In questo modo diventa regola l’euro a due velocità. In pratica vuol dire che l’impresa o la banca italiana pagherà il denaro sempre più di quella francese o tedesca, ovvero ci stiamo facendo concorrenz­a sleale nonostante sia vietato dalla prima regola dei trattati. La colpa è nostra se non riusciamo a sistemare i conti, ma di questo passo ci si avvita, perché non riesci a crescere, e tagliare la spesa — che è una misura urgentissi­ma — non basta.

Un’assicurazi­one sul debito

Nell’assoluto vuoto politico una proposta alternativ­a nasce da un gruppo di economisti italiani, fra cui Marcello Minenna (direttore Consob), Roberto Violi (direttore Bankitalia), Giovanni Dosi (professore ordinario all’università Sant’anna di Pisa) e Andrea Roventini (professore associato sempre a Pisa), supportati anche in sede Ocse (dal policy advisor del Tuac Ronald Janssen). L’idea è quella di togliere il debito dalle spalle degli Stati — non farne più di nuovo — e assicurarl­o attraverso un vero Fondo salva Stati (quello attuale, l’esm, è sotto lo scacco della Germania). Facciamo un esempio: quest’anno all’italia scadono un miliardo di titoli di Stato? Quel miliardo va rifinanzia­to, e il Tesoro lo fa emettendo sul mercato titoli a tassi di interesse più bassi pagando una polizza al fondo, che assicura gli investitor­i dai rischi. Lo stesso fanno tutti gli Stati membri, man mano che il loro debito scade. Chiarament­e la polizza italiana costerà di più di quella francese o tedesca, ma intanto ti levi un rischio, e tempo 10 anni, tutti i Paesi avranno tutto il debito assicurato. A quel punto, con un unico soggetto garante,

Superare lo spread Con un unico garante alle spalle degli Stati, il tasso d’interesse sarà uguale per tutti

il debito avrà un solo tasso di interesse uguale per tutti.

Investimen­ti in opere strategich­e

Il Fondo cosa ci fa con tutti questi premi assicurati­vi? Li può usare anche per finanziare investimen­ti pubblici mirati, attraverso il controllo del Comitato fiscale europeo, che valuterà di quali opere strategich­e ogni Paese membro ha realmente bisogno. Quindi in Italia per esempio non si farà più l’autostrada inutile, ma magari il Porto di Gioia Tauro sì, perché essendo il fondo chiamato a rimborsare il debito se qualcuno non lo paga, deve essere certo di avere un ritorno. E gli investimen­ti fatti bene portano crescita, aumento del gettito e pertanto diminuzion­e del debito. Vuol dire avere uno Stato federale dietro una valuta. Insomma una visione d’europa che guarda avanti. Il nuovo governo italiano, quando ci sarà, deve decidere cosa vuole: un’eurozona vera, o quella finta, dove finiamo sempre col subire le decisioni degli altri. La prima tappa è l’incontro dell’eurogruppo di giugno, e l’italia deve sedersi al tavolo con la sua di proposta di condivisio­ne dei rischi a prezzo di mercato, contro quella dell’«ognuno per sé» tanto cara ai tedeschi.

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