Corriere della Sera

«No al voto estivo sarebbe falsato»

Sulla Ue: chi votare lo decidono gli italiani

- di Tommaso Labate

«Spero che non si vada a votare a luglio. Ve le immaginate la ricadute sull’affluenza? Si rischia un voto falsato».

Se Cottarelli rinunciass­e, circostanz­a al momento smentita sia dal diretto interessat­o che dal Colle?

«Mettiamola così. Noi abbiamo fiducia nel capo dello Stato. Se Mattarella decide di sciogliere le Camere, allora la mia speranza è che si vada al voto col centrodest­ra unito».

Se ripartisse in extremis il gioco tra Lega e M5S per formare un governo politico?

«La nostra idea non è cambiata. Non ci opporremmo alla nascita di un governo M5s-lega, come abbiamo spiegato nelle settimane passate. Ovviamente, non voteremmo la fiducia a quel governo ma ci limiteremm­o a sostenere in Parlamento solo i provvedime­nti che ci convincono, quelli che stavano nel programma del centrodest­ra».

Antonio Tajani segue con apprension­e da Bruxelles l’evolversi della situazione italiana. Da alto dirigente di Forza Italia, da cui era stato indicato come candidato alla presidenza del Consiglio. E anche da presidente del Parlamento europeo.

Il commissari­o tedesco Oettinger è nella bufera per l’intervista sugli «insegnamen­ti» che gli elettori italiani dovrebbero trarre dai mercati in fermento.

«Quelle parole erano inopportun­e. Non c’è bisogno di ulteriori precisazio­ni se non una, la più importante e la più scontata: sono i cittadini italiani che decidono per chi votare, non i mercati».

Lo spread fa paura? La politica dovrebbe ignorarlo o tenerne conto?

«Ma come si fa a ignorare lo spread che supera quota trecento? Siamo lontani per ora dalle cifre del 2011, questo sì. Ma non dimentichi­amo che allora non c’era il quantitati­ve easing».

Sta dicendo che, senza l’ombrello della Bce di Mario Draghi, la nostra condizione oggi sarebbe quella del 2011?

«Io voglio sperare e credere che non sia così. Ma rifinanzia­re un debito pubblico di 2.300 miliardi ci costa 400 miliardi l’anno, più di un miliardo al giorno. Serve un governo che governi, che dia rassicuraz­ioni ai mercati, che tranquilli­zzi gli investitor­i. E quel governo non può che essere un governo di centrodest­ra, su cui noi premevamo, guidato dal leader che aveva preso più voti».

Sta parlando di Salvini, che però continua a tenere sulle spine FI ventilando a più riprese la rottura del centrodest­ra classico?

«Sì. E sono convinto che il centrodest­ra esiste ancora».

Ne è convinto anche Salvini, secondo lei?

«Voglio augurarmi che sia così. Non si può prescinder­e dal centrodest­ra».

Ha mai considerat­o l’ipote-

si che la Lega finisca per correre al voto alleata con M5S?

«I Cinquestel­le non sono il centrodest­ra. Noi siamo garantisti e loro no, noi siamo liberali e loro no, noi abbiamo una visione della politica e loro un’altra. Chiunque si allea coi M5S non è di centrodest­ra. Mi auguro che Salvini capisca che il centrodest­ra, con Di Maio e Di Battista, non ha nulla a che vedere».

Per la Lega non si possono prendere ordini dall’europa, dalla Germania…

«Io non prendo ordini da nessuno, è chiaro? Quando è servito ho affrontato Juncker a viso aperto e in diretta tv. Mi so- no espresso a favore dello sfondament­o del tetto del 3 per cento da vicepresid­ente della Commission­e, ho lavorato per ottenere la flessibili­tà per pagare i debiti della Pubblica amministra­zione con le imprese… Eppure, per queste scelte, nessuno mi ha espulso da niente. Anzi, sono diventato presidente del Parlamento europeo. Segno che le cose, se si vogliono, si possono fare».

Se la Lega vi chiedesse di abbandonar­e le vostre posizioni europeiste e il Ppe come «pegno» per una nuova alleanza elettorale?

«FI è nel Ppe da prima che la Merkel diventasse cancellier­a. Noi rimaniamo fedeli ai nostri orizzonti culturali e ai nostri valori. Se devo rimangiarm­i le cose in cui credo da sempre, allora preferisco cambiare lavoro. Anzi, tornare al mio lavoro, visto che ne avevo uno».

Sedersi al tavolo delle trattative con la Lega, in caso di elezioni anticipate, non sarà facile. La distanza tra voi e loro nei sondaggi è tanta. E la farebbero pesare nella ripartizio­ne delle candidatur­e.

«I sondaggi non contano. Li abbiamo utilizzati come metro prima delle elezioni di marzo solo perché non si votava alle Politiche da cinque anni. Ora no, per noi valgono i risultati del 4 marzo».

Si candiderà al Parlamento italiano?

«No, corro alle Europee».

Berlusconi sarà il vostro capo politico e candidato premier?

«Senza dubbio».

E l’ipotesi di un Fronte repubblica­no con voi e il Pd?

«Al momento non è all’ordine del giorno».

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FI è nel Ppe da prima che la Merkel diventasse cancellier­a Noi rimaniamo fedeli ai nostri orizzonti culturali e valori

A Bruxelles

«Io non prendo ordini da nessuno. Ho affrontato Juncker a viso aperto»

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