Assassinato nel «rifugio» di Kiev il reporter che accusava il Cremlino
Babchenko trovato dalla moglie in fin di vita. «Minacciato», aveva lasciato Mosca
BERLINO Gli hanno sparato alle spalle, sull’uscio di casa. Il giornalista russo Arkadij Babchenko è stato ucciso ieri sera a Kiev, la città dove si era trasferito nello scorso autunno.
La polizia ucraina ha detto di aver ricevuto una chiamata dalla moglie di Babchkeno, che ha raccontato di aver sentito dei colpi di pistola mentre era in bagno e di aver trovato il marito in un bagno di sangue. Il giornalista sarebbe morto in ambulanza durante la corsa in ospedale. Secondo un’altra versione, accreditata dal quotidiano Ukrainianskaia Pravda, l’omicidio sarebbe avvenuto nel pianerottolo, mentre rientrava a casa dopo un salto in un negozio. L’assassino avrebbe sparato tre colpi. In un comunicato stampa, ● Arkadij Babchenko, 41 anni, una figlia, è l’autore tra l’altro di «La guerra di un soldato in Cecenia», tradotto in Italia da Mondadori nel 2011 la polizia di Kiev ha subito collegato l’omicidio con il suo lavoro giornalistico, molto critico verso il Cremlino. «Un lavoro da professionisti», ha detto il capo della polizia di Kiev, Andriy Kryshenko.
Babchenko, 41 anni, aveva servito nell’esercito russo e combattuto in Cecenia, durante la prima rivolta separatista a metà degli anni Novanta. Dopo aver lasciato l’esercito nel 2000, era passato al giornalismo, diventando corrispondente di guerra per Moskovskiy Komsomolets e Zabytyi Polk e pubblicando diversi libri sulle sue esperienze. Aveva anche fondato il progetto «Giornalisti senza mediatori» e collaborato regolarmente con la Novaja Gazeta, una delle poche voci indipendenti nel panorama dei media russi.
Ma la notorietà l’aveva avuta solo nel 2014, quando fu tra i pochi a criticare l’annessione della Crimea, la guerra ibrida del Cremlino nell’ucraina orientale. Nel 2016 aveva preso posizione contro l’intervento russo in Siria. Posizioni non esattamente in sintonia con il «mood» nazionalistico che dominava l’opinione pubblica.
Alcuni suoi articoli avevano anche provocato lo sdegno di molti russi. Fra questi, quello scritto su Facebook nel dicembre 2016 nel quale disse di non essere affatto dispiaciuto per la morte dei membri del coro dell’armata Rossa, Alexandrov Ensemble, periti in un disastro aereo mentre erano in viaggio per andare cantare per le truppe russe in Siria. In tanti proposero di privarlo della cittadinanza russa.
Ne era seguita una campagna di odio sui social media, che probabilmente è stata decisiva per la sua decisione di lasciare la Russia. «Qui non Dal fronte Arkadij Babchenko nel 2017 si è trasferito in Ucraina perché si sentiva in pericolo mi sento più sicuro», aveva scritto sul Guardian elencando le minacce che gli erano arrivate. Fra queste, quelle di alcuni deputati ultranazionalisti. Si era trasferito prima a Praga e poi a Kiev, dove aveva cominciato a lavorare per la rete televisiva dei Tatari di Crimea, ATR. Babchenko tuttavia non era stato attaccato
Gli esecutori
«Un lavoro da professionisti», ha detto il capo della polizia ucraina
pubblicamente da esponenti del governo di Mosca.
Quello di Babchenko è il secondo omicidio di un giornalista nella capitale dell’ucraina negli ultimi due anni. Nel 2016 un’autobomba aveva ucciso il giornalista investigativo bielorusso, Pavel Sheremet. Harlem Désir, incaricato per la libertà dei media dell’osce, si è detto «esterrefatto» per l’omicidio e ha chiesto alle autorità di Kiev «una indagine rapida e completa».
Un deputato ucraino, Anton Gerashchenko, ha definito Babchenko «un oppositore del regime di Putin e un amico dell’ucraina».