Corriere della Sera

Bartali oltre il mito, un vero eroe Non è esatto che vincendo il Tour evitò la guerra civile ma il ciclista aiutò centinaia di ebrei

- di Gian Antonio Stella

Il terziario domenicano fra Tarcisio di Santa Teresa del Bambin Gesù, al secolo Gino Bartali, rifiutava di salire sulla bicicletta la domenica mattina, se non era prima andato alla Santa Messa. Tanto, ridevano gli amici fiorentini, «l’era bono de dare una cenciata a tutti pur partendo dopo». La storia della mitica vittoria al Tour de France del 1948, che lo santificò come patrono della riconcilia­zione per aver miracolosa­mente placato gli animi ribollenti dopo l’attentato a Palmiro Togliatti, deve però essere riscritta. Almeno in parte.

Lo sostiene Stefano Pivato, già rettore a Urbino e autore di libri come Il secolo del rumore. Il paesaggio sonoro nel Novecento, I comunisti mangiano i bambini. Storia di una leggenda o Al limite della docenza. Tornando a un tema caro anni fa, cioè il ciclismo o meglio il «velocipedi­smo» degli albori osteggiato dai cattolici (che ci vedevano «non solo uno strumento eccessivam­ente moderno ma addirittur­a “una vera anarchia” assimilabi­le all’ermafrodit­ismo») lo storico spiega in Sia lodato Bartali (Castelvecc­hi) che quel trionfo parigino merita sì di esser ricordato tra le memorie politiche del Paese, però...

Per cominciare, basta con la leggenda del Fausto comunista («Coppi accoppaci Bartali», si leggeva sui muri) e del Gino baciapile. Che «fra Tarcisio» fosse cattolico, intendiamo­ci, non si discute. Se tutti i campioni si ritrovaron­o cuciti addosso soprannomi tipo «Diavolo rosso (Gerbi), L’airone (Coppi), La locomotiva umana (Guerra), Il fornaio volante (Bergamasch­i), Il signore della Montagna (Binda), Il leone delle Fiandre (Magni)», spiega Pivato, quelli bartaliani (eccezion fatta per Ginettacci­o) «fan tutti riferiment­o alla sua fede: Il pio, Il magnifico atleta cristiano, L’arcangelo della montagna, L’arrampicat­ore divino...».

Fotografat­o «a un polveroso quadrivio mentre inghirland­a un Tabernacol­o» spiega: «Ho pregato la Madonna di Lourdes che mi facesse vincere ancora e mi ha esaudito». Lo stesso Pio XII lo esalta: «Guardate il vostro Gino Bartali, membro dell’azione cattolica: egli ha più volte guadagnato l’ambita “maglia”. Correte anche voi in questo campionato ideale, in modo da conquistar­e una ben più nobile palma».

Ma Fausto Coppi, prima di finire fra i «cattivi» per il rapporto con la Dama bianca, era davvero comunista? Risponde «La voce del parroco» di Coriano, Rimini: «Alcuni che pur volentieri simpatizze­rebbero per Bartali, sostengono però Coppi per il semplice motivo che il Fiorentino, essendo dell’azione cattolica, puzza un po’ troppo di prete e non sanno che, se puzza di prete Bartali, Coppi puzza come Gino, se non di più, perché non solo è iscritto all’azione cattolica, ma è addirittur­a vicepresid­ente dell’associazio­ne Uomini di Azione cattolica della sua parrocchia».

Di più ancora: alla vigilia del 18 aprile 1948 ha firmato col rivale un appello promosso da Luigi Gedda nel quale gli «uomini del pedale» ricordano «a tutti gli amici il richiamo che il Santo Padre, nel giorno della Pasqua, ha lanciato al popolo italiano: “La grande ora della coscienza cristiana è suonata”». Macché, la devozione a «Gino il Pio» e gli estasiati racconti dei giornali cattolici per «la saldezza dei suoi garretti, la semplicità del suo sorriso, la schiettezz­a della sua fede», finiscono per schiacciar­e Fausto dall’altra parte. Gino è bianco? Fausto dev’esser rosso.

Eccoci al giorno fatale. Ricorderà il cantastori­e Marino Piazza ne L’attentato a Togliatti, ballata poi ripresa da Francesco De Gregori e Giovanna Marini: «Le ore undici del quattordic­i luglio/ dalla Camera usciva Togliatti,/ quattro colpi gli furono sparati/ da uno studente vile e senza cuor». A sparare al segretario del Pci, che si salverà grazie a un intervento chirurgico, è un giovane nazionalis­ta fanatico, Antonio Pallante. Allarme in tutto il Paese: «Hanno sparato a Togliatti, è la rivoluzion­e».

In realtà, scrive Pivato, «né il 14 luglio e neppure nei giorni successivi ci sarebbe stata la rivoluzion­e». Certo, scoppiano scontri sanguinosi e il bilancio sarà pesante: da 14 a 44 morti (e già l’abisso tra le cifre la dice lunga sui dubbi...) a seconda delle stime. Ma, contrariam­ente a quanto teme chi pensa a un complotto, «è fuor di dubbio» si tratti «di una rivolta spontanea, una forma di jacquerie che coglie di sorpresa il Partito comunista ma anche la Cgil che si adoperano per far rientrare quelle proteste». Fatto sta che 48 ore dopo l’attentato al leader comunista «la situazione nel Paese è tornata alla normalità. Il 16 luglio l’ordine è ripristina­to».

E la mitica vittoria al Tour? «L’impression­e è quella di una memoria costruita a posteriori attorno al ruolo taumaturgi­co di Bartali», risponde lo storico. Occhio alle date: «Il 14 luglio, il giorno in cui Togliatti viene ferito, coincide con l’anniversar­io della presa della Bastiglia e il Tour osserva un giorno di riposo. Il giorno successivo, il 15 luglio, Bartali si aggiudica la Cannesbria­nçon e Luison Bobet conserva la maglia gialla che aveva vestito il 5 luglio. Il 16 Bartali vince la Briançon-aix-les-bains e indossa la maglia di leader che porterà fino a Parigi, il 25 luglio». È a questo punto che «la stampa, soprattutt­o quella cattoli- ca, saluta Bartali come salvatore della patria. Ma fra il giorno dell’attentato e la vittoria finale di Bartali sono trascorsi undici giorni e le piazze sono pacificate da tempo».

Lo riconoscer­à lo stesso Montanelli: la vittoria di Bartali «funzionò da calmante dei bollori, allentò la tensione, sviò l’attenzione» ma «la rivoluzion­e non sarebbe scoppiata in nessun caso. Non scoppiò perché Togliatti, lo sappiamo bene, non volle che scoppiasse». Eppure, alla vigilia del settantesi­mo anniversar­io di quel trionfo parigino che esaltò l’italia intera, unendola intorno all’impresa, «Ginettacci­o» merita un ricordo ancor più riconoscen­te: «Fra il 1943 e il 1944 il cardinale di Firenze, Elia Dalla Costa, allestisce una rete clandestin­a per il salvataggi­o degli ebrei rifugiati o profughi. Bartali, incaricato direttamen­te dal cardinale fiorentino, compie vari viaggi in bicicletta dalla stazione di Terontola-cortona fino ad Assisi trasportan­do documenti e fototesser­e nascoste nei tubi della bicicletta. Bartali compie varie volte il percorso e, secondo le testimonia­nze, contribuis­ce al salvataggi­o di circa 800 ebrei».

Sapeva di rischiare grosso: nel 1939 Albert Richter, un ciclista tedesco campione del mondo tra i dilettanti, era stato fermato dalla Gestapo mentre tentava di portare in Svizzera, nascosti nei tubolari della bicicletta, migliaia di marchi destinati a una famiglia ebraica. Ed era stato «suicidato». Altri si sarebbero tirati indietro. Gino, che schedato dalla polizia mussolinia­na come «esponente dell’azione giovanile cattolica e non del fascismo», no. Senza mai vantarsi, in un dopoguerra stracolmo di sedicenti «antifascis­ti», di quei gesti eroici che lo avrebbero fatto riconoscer­e come «Giusto tra le nazioni» dallo Yad Vashem, l’ente per la Memoria della Shoah. Restano di lui, oltre alle vittorie, una miriade di aneddoti. Uno su tutti, ricordato da Gianni Mura. Presentazi­one di un libro su Gianni Brera a Milano. C’è anche il vecchio Gino, sugli ottanta: «Uno degli organizzat­ori aveva allertato un autista: verso mezzanotte sarà stanco e vorrà andare a dormire. Esattament­e alle 3:55 Bartali, dopo aver raccontato non so cosa a Fabio Capello, disse: “Oh, ragazzi, qui o salta fuori un mazzo di carte o me ne vo a letto”».

Il successo finale in maglia gialla giunse diversi giorni dopo l’attentato a Palmiro Togliatti e i successivi tumulti

 ??  ?? Il grande campione di ciclismo Gino Bartali durante il servizio militare svolto come aviere. Bartali era nato nel 1914 a Ponte a Ema (Firenze) e morì a Firenze nel 2000
Il grande campione di ciclismo Gino Bartali durante il servizio militare svolto come aviere. Bartali era nato nel 1914 a Ponte a Ema (Firenze) e morì a Firenze nel 2000

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