SESSANTOTTO INTERPRETATO AL FEMMINILE
Un libro a più voci (il Mulino)
Ribelle è Mira Furlani, che nel 1968 fondò la prima Comunità cristiana di base. E che si oppose al patriarcato ecclesiastico, anche proponendosi come catechista solo con le bambine, in nome della differenza. Ribelle è Amelia Rosselli, i cui lapsus, tra deformazioni linguistiche, slang e polifonie rompevano le metriche e aggredivano le consuetudini, gli stereotipi sulle donne e sul loro corpo. Partendo da se stessa. Di rottura è stata Tina Lagostena Bassi, avvocata contro la violenza e poi toga televisiva e voce, volto e parole che ha portato l’assurdità della rivittimizzazione dei casi giudiziari per violenza carnale con quel Processo per stupro seguito da tre milioni di telespettatori.
Donne e ’68: il legame è in quel ce n’est qu’un début. Non è che l’inizio della spinta a cambiare il mondo del periodo che oggi definiamo ’68. Gli anni ribelli. Senza entrare nelle celebrazioni dei cinquant’anni, analisi e contestazioni dei contestatori, Donne nel Sessantotto (il Mulino, pagine 312, 23) percorre sedici storie di persone che, in modi diversi, hanno fatto quell’epoca e quella ribellione. Non necessariamente femministe, né militanti, ma donne che hanno detto no perché hanno pensato che un altro mondo fosse possibile. Come Franca Viola, la ragazza di Alcamo che disse no al matrimonio riparatore. «Sia sulle barricate, sia in un comitato centrale del Pci, sia con colori e pennello, sia scrivendo saggi e versi, sia fotografando e girando un film sia su un palco per cantare o recitare, sia interpretando il Vangelo, qualcuna semplicemente vivendo». Eresia è la parola chiave scelta per selezionare le sedici protagoniste dalle autrici che fanno parte di Controparola, il gruppo di giornaliste e scrittrici fondato con l’intento di divulgare la consapevolezza di genere. Ci sono Patty Pravo e Krizia, raccontate da Paola Cioni; Elena Gianini Belotti, rievocata da Cristiana di San Marzano; Rossana Rossanda, tratteggiata da Eliana Di Caro.
Protagoniste e autrici sono dunque un pezzo di storia d’italia in cui non mancano rapporti virtuosi o tempestosi con gli uomini. A quarant’anni dalla legge sull’aborto incontriamo la determinazione di Emma Bonino, descritta da Claudia Galimberti, che con Adele Faccio si fece arrestare, autodenunciandosi e raccogliendo firme per sottrarre i corpi delle donne alle mammane e ai «cucchiai d’oro».
Liberazione sessuale come riconoscimento legittimo del desiderio femminile e autodeterminazione hanno attraversato gli stessi anni in cui Paolo VI, con l’humanae Vitae, vieta i contraccettivi e condanna l’amore fisico in quanto peccato, se non destinato alla procreazione. La Corte costituzionale cancella il comma dell’art. 559 del codice penale che puniva la donna adultera. E dichiara illegittimo un altro articolo che definiva la contraccezione «reato contro la stirpe». La legalizzazione della pillola permette alle italiane di fare sesso per il piacere di farlo, senza rischiare di avere i figli che non vogliono. Sono gli anni in cui Carla Lonzi, teorica del femminismo, pubblica La donna clitoridea e la donna vaginale per la casa editrice del gruppo Rivolta femminile. Ne scrive Chiara Valentini. Paola Gaglianone tratteggia il profilo di Perla Peragallo e del teatro come rito collettivo per creare coscienza. Dacia Maraini scrive di Letizia Battaglia, «che non pensava a raccontare la Sicilia e l’ha fatto attraverso le sue fotografie che sono sì politiche, ma senza uno sguardo giudicante, perché la realtà è complessa». Con protagoniste e autrici si ripercorre l’affermarsi di diritti che sembrano acquisiti. Si comprende perché alcune conquiste restino in bilico. Non siamo che all’inizio. Del percorso lento che la storia impone.