«Orestea», il primo giallo nella storia della tragedia classica
«L’Orestea? È il grande archetipo delle crime story, il primo giallo nella storia della tragedia classica», dice Antonio Latella, direttore della Biennale Teatro che il 20 luglio alza il sipario con la tragedia di Eschilo, messa in scena dalla compagnia Anagoor, che quest’anno riceve il Leone d’argento. Una vicenda cupa, fra tradimenti, omicidi e vendette, che prende il via in un microcosmo familiare malato. Il re Agamennone viene ucciso dalla moglie adultera Clitennestra, amante di Egisto, che a loro volta verranno uccisi dal figlio di lei Oreste. Un intrigo diabolico ora attraversato dallo spettacolo intitolato Orestea. Agamennone, Schiavi, Conversio diretto da Simone Derai, al Teatro alle Tese dell’arsenale di Venezia. «Non è una riscrittura dell’opera eschilea, che non è semplicemente la tragedia della vendetta — avverte il regista, fondatore di Anagoor insieme a Paola Dallan —, ma l’interpretazione di una cruda saga familiare che assurge, metafisicamente, a rappresentazione del mondo. L’orestea è come la Bibbia, ha mille facce ed è anche una tragedia di scontro generazionale, con l’avvicendarsi di vecchi e giovani al potere del regno». Un regno dominato dalla violenza declinata in vari modi: la reggia degli Atridi è un mattatoio di persone e nella rappresentazione di Anagoor il palcoscenico è sovrastato da un grande schermo su cui sono proiettate le immagini di un vero mattatoio di bovini. «È un macello meccanizzato che si trova nella campagna trevigiana — spiega Derai — dove le bestie vengono prima allevate, poi incatenate a macchine disumane, squartate, maciullate in un mare di sangue: testimonianza visiva di un meccanismo che, ampliando la riflessione, regola i rapporti umani. L’orestea diventa lo specchio dove vediamo riflessi noi stessi oggi: dalle guerre che si combattono nel mondo alle stragi di migranti». Una crime story tra le macerie di un Occidente alla deriva, ma lo scopo della tragedia è la catarsi: «La visione dell’orrore provoca lo scuotimento dello spettatore. Con il nostro spettacolo non saliamo in cattedra a dare lezione, aspiriamo a suscitare un terremoto emotivo, che inviti la platea ad attivare il pensiero: la tragedia come palestra per suscitare empatia e disponibilità nei confronti del prossimo».