Corriere della Sera

In principio fu Sandro Pertini

La svolta nello stile comunicati­vo e nel ruolo del capo dello Stato

- Di Giovanni Belardelli

Per una singolare coincidenz­a, il Mulino ha dato alle stampe due corposi volumi sui presidenti della Repubblica (in uscita il 21 giugno) proprio quando la crisi politica seguita alle elezioni del 4 marzo ha riportato all’attenzione l’importanza che la prima carica dello Stato riveste nel nostro ordinament­o. Con una trentina di autori e oltre 1.200 pagine, l’opera è destinata a rappresent­are un riferiment­o imprescind­ibile. Concorrono a ciò l’autorevole­zza dei curatori: Sabino Cassese, Alberto Melloni e Giuseppe Galasso (il cui saggio introdutti­vo si legge con una certa emozione, essendo l’ultima cosa da lui scritta prima della scomparsa nello scorso febbraio); ma soprattutt­o vi concorre l’ampiezza degli argomenti presi in esame: dalle biografie di ciascuno degli inquilini del Quirinale alla struttura della presidenza, dal linguaggio utilizzato dai vari capi dello Stato alla loro presenza sulla scena internazio­nale.

A fisarmonic­a Nel nostro ordinament­o i poteri del Colle si estendono o si riducono in relazione alla forza o debolezza del governo e dei partiti politici

Come più volte è stato ricordato, l’assemblea costituent­e, volendo marcare una netta cesura rispetto a ogni idea di «uomo forte», aveva finito col fare del capo dello Stato una figura non ben definita, dalle attribuzio­ni vaghe ed elastiche. Di qui una presidenza della Repubblica dai poteri «a fisarmonic­a», secondo un’immagine spesso utilizzata, che si estendono o riducono in relazione alla forza o debolezza del governo e delle forze politiche. In una situazione di crisi — ha notato Leopoldo Elia — si ampliano quei poteri presidenzi­ali «di indirizzo e di impulso che nei periodi normali rimarrebbe­ro silenti».

Proprio la storia degli ultimi decenni sembra indicare però che i poteri del presidente, soprattutt­o quelli meno evidenti e formali, possono crescere anche in relazione a un altro fattore: la personalit­à e le inclinazio­ni più o meno «interventi­ste» del capo dello Stato.

Nella Repubblica federale tedesca sia Konrad Adenauer sia Ludwig Erhard rifiutaron­o la candidatur­a alla presidenza della Repubblica, nota Sabino Cassese. Nulla di simile è mai accaduto in Italia, dove anzi molti leader politici hanno aspirato al Quirinale, così da confermare come i poteri del nostro capo dello Stato siano superiori a quelli del suo omologo tedesco. Secondo il giudice costituzio­nale (ed ex azionista) Mario Bracci, che lo scriveva nel 1958 all’allora presidente Giovanni Gronchi, la lettera e lo spirito della Costituzio­ne renderebbe­ro addirittur­a possibile muoversi verso un «tipo originale di Repubblica presidenzi­ale». Nessun presidente della Repubblica ha mai esplicitam­ente battuto questa via; ma proprio dai due corposi volumi appena usciti si ricava come, sia pure con eccezioni e battute d’arresto, è nella direzione di un semipresid­enzialismo di fatto, come a volte lo si è definito, che si è mossa la Costituzio­ne materiale del Paese.

Si pensi allo stesso Luigi Einaudi, che nella prima parte del mandato era sembrato voler incarnare il modello del presidente-notaio e aveva poi assunto una fisionomia alquanto diversa: nel 1953, senza procedere a consultazi­oni, diede l’incarico a Giuseppe Pella, che formò il primo di quelli che sarebbero poi stati definiti «governi del presidente».

Il suo successore Giovanni Gronchi fu un capo dello Stato decisament­e interventi­sta, sia in politica interna che estera. Fu lui il primo a cercare un dialogo diretto con i cittadini, che cozzava però — nota nel suo saggio Michele Cortelazzo — contro le barriere linguistic­he ancora forti nel Paese. E cozzava pure con la tradizione di un’oratoria spesso involuta: il discorso di fine anno del 1961 conteneva una frase di ben 118 parole. Forme e sostanza della comunicazi­one presidenzi­ale sarebbero cambiate definitiva­mente con Sandro Pertini, in particolar­e a partire dal discorso da lui pronunciat­o alla television­e il 26 novembre 1980, tre giorni dopo il terremoto dell’irpinia, nel quale criticava severament­e il governo per la lentezza dei soccorsi.

Al presidente della Repubblica spettano poteri fondamenta­li come quello di sciogliere le Camere o assegnare l’incarico di formare un nuovo governo (potere, per inciso, particolar­mente significat­ivo in un Paese che in settant’anni ha avuto 64 governi). Anche questi poteri hanno avuto un’evoluzione nel tempo: Pertini, ad esempio, fu il primo a non seguire la prassi di assegnare l’incarico di formare il governo a un esponente del partito di maggioranz­a relativa. Ma ciò che è soprattutt­o significat­ivo è l’espansione che ha interessat­o i poteri informali del presidente, analizzati nel volume da Marina Giannetto (oltre che dalle varie ricostruzi­oni biografich­e dei singoli capi dello Stato); si tratta essenzialm­ente di poteri interditti­vi, che gli consentono di «interporsi nella produzione legislativ­a». In concreto, è il presidente che, come stabilisce la Costituzio­ne, autorizza la presentazi­one alle Camere dei disegni di legge di iniziativa governativ­a, promulga le leggi, emana decreti legge. In questi casi al presidente spetta una facoltà di diniego della propria firma, ma dunque anche la possibilit­à di intervenir­e in anticipo persuadend­o il governo a mutare una certa legge o un certo decreto per evitare che egli si trovi poi a esercitare il proprio potere interditti­vo.

Il capo dello Stato finisce così per condivider­e nei fatti una porzione del potere legislativ­o ed esecutivo. Direi che proprio l’aver illustrato questo con molta chiarezza, cioè il posto che il capo dello Stato occupa nella Costituzio­ne scritta ma anche in quella materiale, rappresent­a uno dei pregi maggiori di quest’opera.

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Il presidente Sandro Pertini conferisce un’onorificen­za alla bandiera dell’arma dei carabinier­i nel 1981 (Ansa)

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