Corriere della Sera

«Per me resterai sempre il mio “passerotto”»

- Il tuo ragazzo A.

«Mangerà quanto un passerotto», aveva detto sorridendo mio fratello riferendos­i alla tua magrezza quando ti ho presentato alla mia famiglia. E «passerotto» è rimasto il nomignolo con il quale ti ho sempre chiamato. Poi tu hai cominciato a chiamarmi «amore», invece che con il mio nome e così ci siamo sempre rivolti l’un l’altro. Giunti alla soglia dei 70 anni, prendendom­i a braccetto e guardandom­i negli occhi, spesso dicevi: «Pensavo che un matrimonio, dopo 10-15 anni sarebbe diventato banale quotidiani­tà. Noi ne abbiamo vissuti quasi 50, e per me sei ancora, e resterai sempre il mio ragazzo». E poi la botta. Un valore anomalo nelle analisi di routine che non sembrava preoccupan­te si è poi rivelato indicatore di un tumore molto aggressivo. L’intervento chirurgico, la ripresa, l’illusione. Altri interventi, ancora ripresa, ancora illusione. Poi l’ultimo che ti ha tolto la parola e la voglia di lottare. «Lasciatemi morire in pace», hai scritto un giorno sul taccuino che era il mezzo per comunicare tra noi quando non riuscivo a capire dai gesti. E un’altra volta: «Mi dispiace lasciarti solo». Io volevo illudermi, ma tu l’avevi capito e ti sei abbandonat­a e, dopo qualche giorno, mio dolce passerotto, sei volata via. Ora, in quel nido che abbiamo intrecciat­o insieme, c’è solitudine e doloroso silenzio, ma io sentirò per sempre quella voce che chiama: «amoreee».

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