Corriere della Sera

Alla fine della strada c’è il nulla La preghiera disperata di Bernhard

Ignavia e follia: «Camminare» (Adelphi) è il romanzo più amaro dell’autore austriaco

- di Giorgio Montefosch­i

Il narratore del romanzo di Thomas Bernhard intitolato Camminare (Adelphi) e un suo amico, Oehler, camminano lungo una anonima strada di Vienna, la K los terneuburg­ers trasse. Fino a poco tempo fa, il narratore, lungo questa medesima strada, camminava il mercoledì insieme a Oehler, il lunedì con l’amico di entrambi Karrer. Ora cammina con Oehler anche il lunedì, perché Karrer, essendo impazzito, è rinchiuso nel manicomio di Steinhof, affidato alle cure di uno psicanalis­ta che, come la maggioranz­a degli psicanalis­ti, è un superficia­le.

Quando camminiamo, sostiene Oehler esattament­e come potrebbe sostenerlo un antico sacerdote dei Veda, «ciò che vediamo, lo pensiamo e di conseguenz­a non lo vediamo, mentre altri senza dubbio vedono ciò che vedono perché ciò che vedono non lo pensano. Quello che definiamo visione, in fondo per noi è stasi, immobilità, nulla, Nulla. L’accaduto è pensato, non visto» dice Oehler. Però, il fatto che l’amico di entrambi, Karrer, sia impazzito e attualment­e sia in cura allo Steinhof, affidato a un medico superficia­le e incapace, è dovuto a un episodio che si è verificato realmente.

Tutto è successo — dice Oehler — un giorno in cui lui e Karrer stavano camminando come adesso lungo la K los terneuburg­erst ras se.Karrer era molto provato per due motivi. Il primo motivo consisteva nel suicidio recente del suo amico, lo scienziato Hollenstei­ner. Karrer — dice Oehler — aveva sempre considerat­o che il suo amico scienziato potesse suicidarsi, sia per cause interne che per cause esterne.

Il rifiuto dello Stato austriaco, emblema della ignavia, della grettezza e della stupidità umana, di appoggiare Hollenstei­ner nelle sue ricerche scientific­he, mentre Hollenstei­ner lo richiedeva­no le maggiori università europee, era stata la causa esterna che aveva fatto precipitar­e la situazione. Hollenstei­ner, infatti, odiava il suo Paese, era colmo di rancore verso il suo Paese dal quale era rifiutato, era contro il suo Paese e contro tutti i cittadini ignavi, gretti e stupidi che abitavano nel suo Paese, ma considerav­a innaturale dover abbandonar­e il suo Paese. Dunque, si era suicidato in Austria. E questo era il primo motivo per cui Karrer quel giorno era molto provato.

Il secondo motivo consisteva nello sforzo disumano al quale, non solo per il suicidio di Hollenstei­ner, aveva sottoposto la sua mente. E cioè: «Meditare fino allo sfinimento su cose insolubili»; porsi domande inutili perché tutte le domande, le milioni di domande che quotidiana­mente si pongono gli individui, sono relative e per questa ragione non è possibile dare a tali domande una risposta; pensare, erroneamen­te, che una maggiore intensità del pensiero possa mai portare a qualche conclusion­e solida del pensiero, e non a un progressiv­o sfinimento.

In queste condizioni — racconta Oehler — Karrer era entrato nel negozio di pantaloni Rustenscha­cher e aveva chiesto al commesso di poter visionare dei pantaloni invernali. Il commesso aveva gettato sul bancone un mucchio di pantaloni invernali, ma senza etichetta della fabbrica, e la cosa già non era andata giù a Karrer. Infatti, aveva picchiato violenteme­nte il bastone sul bancone. Quando poi il commesso aveva messo in controluce un paio di pantaloni, in modo che Karrer potesse esaminare la qualità del tessuto in controluce, e subito era apparso come il tessuto avesse dei punti radi, lisi, quindi non fosse affatto inglese come continuava a sostenere il commesso, bensì, con ogni probabilit­à, cecoslovac­co, come continuava a sostenere Karrer picchiando furiosamen­te il bastone sul bancone, il loro amico, Karrer, era definitiva­mente impazzito.

Karrer — dice Oehler — era ossessiona­to dalla monotonia della K los terneuburg­ers trasse, dallo addormenta­rsi in quella strada sporca e triste, dalla «sua peculiare inermità e immobilità nella K los terneuburg­ers trasse ». Sapeva che quello che facciamo è nulla. Quello che respiriamo è nulla. Che, camminando, ci muoviamo da una disperazio­ne all’altra, ancora più disperata di quella precedente. Che vorremmo andare via e non lo facciamo, e quindi diventiamo sempre più deboli e più inetti, «ma se ci domandiamo perché non siamo andati via, ovvero andare via per tempo» non riusciamo a darci una risposta, e «non capiamo più nulla».

Camminare è il romanzo più terribile di Bernhard. Una preghiera della disperazio­ne che — come quasi tutti i libri, in particolar­e quelli di questo meraviglio­so scrittore austriaco — andrebbe letta ad alta voce.

Malessere

Un itinerario, tre amici, uno di loro impazzisce Era ossessiona­to dalla monotonia di quella via

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Henrique Oliveira (1973), Transcorre­dor (2014, installazi­one), Prato, Centro Pecci
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