Corriere della Sera

Un’orientale a Hollywood

L’attrice debutta come regista nella serie Netflix «Luke Cage», ispirata ai fumetti Marvel Lucy Liu: «Eroina di film d’azione per le mie origini asiatiche Nella vita privata cerco la fede»

- Valerio Cappelli

Lucy Liu ha quegli occhi lunghi allungati orientali così riconoscib­ili, così «suoi». Ha fascino e gentilezza, 49 anni portati in modo splendido, è più minuta dell’idea che si può avere. La vedi e pensi al duello all’ultima goccia di sangue con Uma Thurman in Kill Bill. Il 22 giugno comincia su Netflix la seconda serie USA in 13 puntate di Luke Cage, dove Lucy è regista, sull’omonimo personaggi­o dei fumetti Marvel Comics. Mike

Colter torna nei panni dell’ex carcerato che acquisisce forza sovrumana e pelle impenetrab­ile.

E cosa succede?

«Deve uscire dall’ombra per difendere il cuore di New York, affrontand­o il passato che cerca di cancellare».

I film con i supereroi sembravano una prerogativ­a di Hollywood, invece…

«Qui però è diverso, è un’immersione nella cultura afroameric­ana, si sente Harlem, e lo dico sul piano sensoriale: c’è un sentimento impregnato di odori, di sapori per cui vivi il film in prima persona, si sprigiona un senso di empatia e di fiducia per quella cultura».

Lei, da regista e soprattutt­o da attrice, sembra predestina­ta ai film d’azione.

Sorride: «Non è stata una mia scelta, mi è capitato, ci sono stata tirata dentro. È andata così perché sono asiatica e la gente pensa che io abbia una credibilit­à nel kung-fu e nel karate. Quando mi arrivavano le proposte tutte in quella direzione, ho dovuto imparare e allenarmi».

Però nelle arti marziali è del tutto credibile.

«Mi fa piacere che lo pensiate, ma se lo dicevate a Nicole Kidman non so come avrebbe reagito e come sarebbe andata a finire. L’aspetto ironico è che io volevo fare l’attrice, non una sorta di stunt-woman. I produttori hanno pensato: visto che è così brava a fare queste cose, chiediamog­lielo ancora. Mi ci sono trovata».

Pensare che conduce una vita spirituale.

«Ho imparato anche questo, non sono cresciuta con una religione specifica in famiglia, mi piace studiare tutto quello che ha a che fare con la fede, ho un’inclinazio­ne naturale su questa materia. Attraverso mia madre, che da cinese ha frequentat­o una scuola cattolica, mi sono avvicinata al buddhismo».

Dalla Cina

I miei genitori erano poveri e lavoravano duro per mantenere me, mia sorella e mio fratello

E il misticismo ebraico?

«L’ho studiato in un progetto in cui ti insegnano a fare meditazion­e sulle lettere dell’alfabeto aramaico, da cui ognuno trae una sua energia speciale. Io nasco fotografa e artista multimedia­le, la vivo come una filosofia e come un concetto visivo. Ciò che mi attrae nella fede è il credere in qualcosa di non tangibile. Se ci pensa, c’è un’analogia col mestiere dell’attrice».

Prima parlava del cliché delle arti marziali per un’orientale. Ha mai vissuto discrimina­zioni nel cinema?

«Sì, ai casting tante volte mi sono sentita dire: sei troppo asiatica, hai un’estetica marcatamen­te asiatica; oppure al contrario, non lo sei abbastanza. Non riuscivo a collocarmi al punto giusto. Smisi di andare alle audizioni, tanto venivo eliminata».

Le molestie a Hollywood?

«Si è creata un’onda d’urto mondiale, c’è stato un deterioram­ento dei costumi sul mondo delle donne, non solo al cinema ma in tanti altri ambienti di lavoro. Problemi mai affrontati. Gwyneth Paltrow si è lamentata col suo agente che nessuno prima aveva fatto nulla, ha ragione, non si è lanciato un allarme per troppo tempo, si è consentito che gli abusi proseguiss­ero e questo ha scoraggiat­o a parlarne. Era David contro Golia».

Un silenzio mortifican­te.

«Ogni tanto si sentiva un grido, ma era isolato, è difficile quando non puoi portare prove e sei da sola con le spalle al muro. Ora sappiamo come fare, anche se ci sono aspetti che non mi piacciono, tipo il gossip. Per le donne che non sono sotto i riflettori è più complicato, non ci sono ancora fondi per aiutarle».

Anche lei è nata povera.

«Sono americana di prima generazion­e, nata da genitori che venivano da un Paese profondame­nte diverso come la Cina. I miei genitori erano poveri, lavoravano duro per mantenere me, mia sorella e mio fratello. In America c’è il detto: hai le chiavi al collo, quando devi provvedere a te stesso, cercare di diventare il prima possibile indipenden­ti. Apprezzava­mo il poco che avevamo, poi come tanti bambini che non avevano niente vedevamo in tv certi cibi e protestava­mo: perché non mangiamo quello che si vede lì? I miei genitori con noi hanno fatto a great job, un grande lavoro».

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Una scena del film di Tarantino con Lucy Liu. L’attrice: «Sono credibile nelle arti marziali. Ai casting però ho subito discrimina­zioni: “Sei troppo asiatica”mi è stato detto»
Kill Bill Una scena del film di Tarantino con Lucy Liu. L’attrice: «Sono credibile nelle arti marziali. Ai casting però ho subito discrimina­zioni: “Sei troppo asiatica”mi è stato detto»
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Charlie’s Angels Lucy Liu, Cameron Diaz e Drew Barrymore sul set del film uscito del 2000

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