Ma chi si occupa di turismo? Due poltrone e un mistero
«Un Paese come l’italia non può non avere un ministero del Turismo», dice il contratto firmato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Giusto. Perché un settore come questo che («grazie al patrimonio storico, culturale, paesaggistico e naturale e a eccellenze quali l’enogastronomia, la moda, il design, unici al mondo») vale oggi «il 12% del Pil e il 14% dell’occupazione» non può «essere solo una direzione di un altro ministero ma ha bisogno di centralità di governance e di competenza, con una vision e una mission». A farla corta: deve avere il peso d’un ministero vero e proprio. Di là il Mibac (amputato della «T» finale) di qua la «T» scorporata rilanciata. Nell’attesa di definire i dettagli della nuova creatura, così, il governo gialloverde di «ministri del Turismo» ne ha al momento addirittura due.
Il primo, dice il sito ufficiale del Mibact, è ufficialmente Alberto Bonisoli che venerdì ha giurato nelle mani del capo dello Stato come «Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo» e in quanto tale riceve lodi e salamelecchi per aver detto che il turismo «è stato la Cenerentola dei passati governi» e che occorre «una promozione più forte all’estero» puntata sulla «qualità».
Il secondo, stando agli accordi presi tra grillini e leghisti (non in streaming, ovvio...) è Gian Marco Centinaio, che si è visto assegnare il dicastero dell’agricoltura amatissimo dai padani ma che rivendica anche la delega, appunto, al turismo. Perché? Gliela avevano promessa perché se ne occupa da anni: era direttore commerciale di un tour operator.
Per carità, è vero che l’abbinamento tra la promozione del nostro straordinario patrimonio culturale e la promozione del turismo sembrava potesse dare frutti migliori. Quell’accoppiata, a crederci e a investirci sul serio, un senso ce l’aveva. Ma l’accoppiata agricoltura e turismo? Meglio puntare sul culatello e le orecchiette invece che su Giotto e Donatello? Mah...