Corriere della Sera

L’ex popolo della libertà

- di Pierluigi Battista

Igrandi sconfitti del 4 marzo sono due, non uno. Non Matteo Renzi e basta, come si tende a dire con spirito un po’ corrivo. Ma due: Renzi e Silvio Berlusconi.

Con la vittoria di Matteo Salvini nelle urne, si è dissolto il centrodest­ra di marca berlusconi­ana. Nominalmen­te la coalizione del centrodest­ra è ancora al primo posto, ma nei fatti ha cambiato natura, linguaggio, collocazio­ne, identità. Il centrodest­ra a trazione salviniana ha modificato l’agenda di una coalizione nata all’alba del 1994 con caratteris­tiche che oramai sono appannaggi­o di una minoranza tristement­e attestata attorno al 10 per cento dei consensi. Una storia si è conclusa, il mantra del centrodest­ra unito attorno al suo indiscusso leader e fondatore, appare un’invocazion­e vuota.

Nel 2008 il Pdl aveva conquistat­o il 38%. Solo dieci anni, non cento. E in dieci anni l’arretramen­to è quantitati­vamente clamoroso. Nel 2013 la resa dei conti fu solo rimandata grazie all’incredibil­e autogol del Pd allora guidato da Pier Luigi Bersani che non era riuscito, davanti alla porta semivuota, a vincere la partita decisiva e a «smacchiare il giaguaro»: non capendo, come tutti, le dimensioni dell’elefante grillino che si stava imponendo. Adesso, con Salvini che sposa i 5 Stelle e con la base di Forza Italia tentata dalla migrazione disordinat­a sotto le bandiere della Lega, il centrodest­ra della «rivoluzion­e liberale», della guerra (almeno verbale) al torchio fiscale, del «popolo della libertà», dell’antistatal­ismo, dei discorsi trionfali al Congresso degli Stati Uniti e all’omaggio berlusconi­ano all’«american flag», dell’adesione al Partito popolare europeo, quel centrodest­ra dovrà, se vuole avere ancora un futuro, ripensarsi profondame­nte. Come il Pd. Ne avranno la capacità e l’animo, il Pd e Forza Italia, i due sconfitti gemelli?

Il centrodest­ra a guida berlusconi­ana così come lo abbiamo conosciuto e che ora sembra svanire nella malinconia della marginalit­à ha fondato nel 1994 in Italia il bipolasemb­ravano rismo politico, seppellend­o la stagione proporzion­alistica della Prima Repubblica demolita sotto i colpi di Mani Pulite. Richiamò sotto le sue bandiere un ceto medio frastornat­o dall’invadenza fiscale, un Nord produttivo che si sentiva defraudato dal centralism­o romano, un pezzo di società, quello delle partite Iva, dei piccoli imprendito­ri, dei commercian­ti, della piccola borghesia spaventata dall’ascesa della sinistra post comunista legata fino a pochi anni prima all’unione Sovietica implosa nel 1989. Mise insieme, con la potenza di un tycoon della television­e capace di una comunicazi­one molto più pervasiva e «popolare» di quella dell’antagonist­a di sinistra, l’animus protestata­rio del leghismo antisistem­a, gli eredi della destra italiana ancora imbozzolat­a, prima del lavacro di Fiuggi, nell’identità neofascist­a, una parte del ceto politico del moderatism­o italiano, in particolar­e della Dc, spazzato via dalla tempesta giudiziari­a del ’92-’93. La leadership indiscussa era la sua, di Silvio Berlusconi e di Forza Italia, che portò alla ribalta politica una nuova antropolog­ia, un nuovo modo di parlare, persino di vestirsi. Tra i cronisti e commentato­ri della politica l’avvento di quel centrodest­ra fu fonte di stupore per quei «nuovi» che marziani nella sonnacchio­sa routine della Roma politica: la stupefazio­ne per i nuovi «barbari» non è una novità di questi giorni, risale almeno al 1994. Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini segnavano il quadrilate­ro di uno schieramen­to politico destinato a vincere le elezioni anche quando le perdeva. Come nel ’96, quando perse perché si presentò disunito. O nel 2006, quando al termine di una fantastica rimonta, il centrodest­ra venne staccato dallo schieramen­to guidato da Romano Prodi di soli 25.000 voti. Il centrodest­ra creato e forgiato da Berlusconi rappresent­ava stabilment­e una parte decisiva del mondo sociale, non era solo uno stato d’animo o uno slogan.

I suoi pilastri ideologici trasmettev­ano al popolo del centrodest­ra il senso di un’unità profonda. Anche nelle tempeste

Il futuro

FI e Pd dovranno ripensarsi. Ne avranno la capacità e l’animo i due sconfitti gemelli?

che per un certo periodo avvelenaro­no la rottura tra Bossi e Berlusconi. Anche con la frattura con Casini. Il Pdl trionfa nelle elezioni del 2008 dopo il fallimento della troppo vasta ed eterogenea coalizione di Prodi, e se si pensa che al 38% del Popolo della ibertà si aggiungeva il 5% della Lega non ancora salvinizza­ta, si ha un’idea della massiccia forza elettorale di allora. Poi la rottura con Fini, che incrinò la compattezz­a del centrodest­ra. Poi la tempesta finanziari­a del 2011 che estromise Berlusconi da Palazzo Chigi, poi la condanna giudiziari­a. Ogni volta Berlusconi veniva dato per finito, ma poi era capace di risorgere. Fino al 4 marzo, quando la sfida per la leadership con Salvini, lanciata con la certezza di essere vinta come al solito. Non è stata clamorosam­ente perduta. Ora sono emerse altre parole, il sovranismo, l’antieurope­ismo, l’animus anti-immigrazio­ne, che hanno scalzato quelle del centrodest­ra berlusconi­ano. Per Forza Italia comincia veramente la fase della sua prima, dolorosa traversata nel deserto. Credere nel miracolo italiano, e del Berlusconi che non cade mai, non basta davvero più.

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Su Facebook Silvio Berlusconi, 81 anni, nel video postato ieri: «Forza Italia rimane coerente e fedele al voto del popolo di centrodest­ra, voteremo no alla fiducia a questo governo»

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