Corriere della Sera

«Non possiamo fare l’ungheria del Mediterran­eo»

«Il nuovo ministro non distrugga il nostro modello anti terrorismo e anti sbarchi»

- di Aldo Cazzullo

M inniti, come si sente da ex ministro?

«Liberato da una contraddiz­ione: essere vincolato agli affari correnti, in un ministero dove non esistono affari correnti. Il terrorismo e il controllo dei flussi migratori non sono affari correnti».

Come definirebb­e il nuovo governo?

«Il governo dell’ignoto. Il contratto, le dinamiche di costruzion­e della squadra, il profilo politico: tutto dà l’idea di un vuoto davanti a noi. In 48 ore si è passati dalla richiesta di messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica alle strette di mano: lo stesso fatto che domenica era un attentato alla Costituzio­ne martedì è diventato un consiglio saggio da seguire. La verità è che siamo a uno spartiacqu­e della vita repubblica­na».

La Terza Repubblica?

«Ho perso il conto delle Repubblich­e. No, siamo in una fase senza precedenti, che il presidente Mattarella ha condotto in modo impeccabil­e. Era giusto assecondar­e fin quasi oltre ogni limite la possibilit­à che nascesse un governo politico. Non perché ne sottovalut­i la pericolosi­tà; perché è importante che nel rapporto con il Paese nessuno possa agitare il tema della vittoria elettorale mutilata. Ora il tempo

d

I rapporti

Per le espulsioni sono decisivi i rapporti con i Paesi africani: offenderli è controprod­ucente

della propaganda è finito. Comincia il tempo della responsabi­lità».

Di Maio e Salvini sono in grado?

«Mi colpisce l’assoluta mancanza di limite alla minaccia, e nello stesso tempo l’assoluta mancanza di limite alla capacità di accettare compromess­i. La mancanza di limite nel rapporto con la cosa pubblica. Non è solo disinvoltu­ra individual­e, è incapacità di capire che in democrazia le forme e le procedure sono sostanza; mentre vengono viste o come uno strumento, o come un impediment­o. Qui c’è la forzatura».

Quale forzatura?

«Se Salvini e Di Maio si incontrano, decidono il rilancio dell’alleanza e la composizio­ne della squadra, il premier arriva a incontro finito e serve solo per comunicare al capo dello Stato che c’è il governo, allora qui si delinea un punto delicato: il ruolo del presidente del Consiglio. Se il primo atto è un accordo tra capi partito, non c’è nessun cambiament­o; c’è il ritorno ad antiche pratiche da pentaparti­to. Un pentaparti­to populista».

Sono i movimenti che hanno vinto le elezioni.

«Certo. La democrazia non si discute. Al messaggio di un amico europeo che esprimeva preoccupaz­ione ho risposto: “Right or wrong, my country”; giusto o sbagliato, è il mio Paese. Ma fa parte della democrazia anche la possibilit­à di contrappor­re la propria visione. Se prometti 50 o forse 100 miliardi di spesa, allora rischi di aver costruito un gigante delle aspettativ­e, con i piedi drammatica­mente di argilla. Senza considerar­e lo slittament­o progressiv­o della collocazio­ne internazio­nale del nostro Paese. E non penso solo all’euro».

Pensa ai rapporti con la Nato e la Russia?

«Penso innanzitut­to all’idea di società, in contrasto con quella tradiziona­le che definisce la società italiana. Il pentaparti­to populista ha un’idea della società chiusa. Chiusa nella dimensione virtuale: il sacro blog. Chiusa nella dimensione fisica: l’idea del confine come separazion­e dagli altri, anche a livello internazio­nale. La nostra identità contro quella altrui, il nostro gruppo contro un altro gruppo. Tutto questo può portare allo slittament­o di valori e di funzione del nostro Paese. Una separazion­e non tanto dai riti barocchi di Bruxelles, che non piacciono neanche a me, ma dai valori fondamenta­li che ci legano all’europa e ai nostri alleati storici».

Una separazion­e che ci avvicina a Putin?

«L’italia ha sempre coltivato il dialogo tra Est e Ovest, ma non è mai stata un Paese dell’est al confine con l’ovest. Non possiamo diventare un’ungheria al centro del Mediterran­eo».

E la sinistra che fa? Mangia i popcorn?

«La sinistra deve contrastar­e tutto questo, evitando di cadere in due riflessi condiziona­ti. Fare i vedovi del governo: a ogni dato positivo, rievocare quel che avevamo fatto noi; la trappola della nostalgia. E pensare che il ritorno all’opposizion­e consenta in modo automatico di recuperare il consenso perduto. Come nel ’94, quando pensammo che in poco tempo avremmo costruito la sconfitta di Berlusconi».

Che in effetti fu battuto nel 1996.

«C’ero. Feci le liste. Tutto fu studiato alla perfezione: la desistenza con Rifondazio­ne, la Lega da sola, Rinnovamen­to italiano al 4%, i collegi marginali... Così una minoranza nel Paese divenne maggioranz­a di governo. Ma per la sconfitta politica di Berlusconi abbiamo dovuto attendere 24 anni. E non l’abbiamo sconfitto noi, ma Salvini».

Quanto ha sbagliato Renzi, e cosa dovrebbe fare ora?

«Renzi ha commesso errori, e credo ne sia consapevol­e. Ora è di fronte a un bivio. Un leader può anche cadere, e nel tempo può anche rialzarsi. Un capo corrente è più difficile che cada, ma se cade non si rialza. Sopravvive. Liberiamoc­i però dall’idea che le colpe siano sempre dell’altro. Avverto sulla mia pelle la responsabi­lità della sconfitta. La sinistra ha vissuto una rottura sentimenta­le nel rapporto con il Paese».

Cosa intende?

«Abbiamo affrontato la rabbia e la paura con la supponenza e la freddezza delle cifre. Che erano vere: non abbiamo mai avuto tanti occupati; i reati sono al minimo storico da vent’anni. Ma non abbiamo dato dignità a questi sentimenti. Non siamo riusciti a connettere la rabbia con un progetto, né a rimuovere le cause della paura».

Ora il Pd deve spostarsi a sinistra?

«Il Pd dev’essere il perno di uno schieramen­to più ampio, capace di costruire un progetto comune per una società aperta, di trovare un punto di incontro tra quelle che in filosofia si chiamano coppie opposizion­ali: umanità e sicurezza; riformismo e questione sociale; Europa e interesse nazionale. Per i populisti, gli elementi della coppia si escludono: o prendi uno, o prendi l’altro. Per Salvini, o scegli l’umanità, o scegli la sicurezza. La nostra sfida è stata ed è tenere insieme umanità e sicurezza».

Salvini sarà un buon ministro dell’interno?

«Questo lo giudichera­nno gli elettori. Ho visto una sua foto accanto a una ruspa. Già per un leader che ha vinto è un’immagine un po’ forte. Vedere un ministro dell’interno fotografat­o accanto a una ruspa non mi pare un segnale rassicuran­te».

Salvini promette i respingime­nti. Sono tecnicamen­te possibili?

«E come si fa? I flussi migratori non si possono cancellare; si possono governare. È quel che abbiamo fatto. Siamo all’undicesimo mese consecutiv­o di riduzione degli arrivi. Rispetto al primo luglio del 2017 sono arrivati 122 mila migranti in meno».

L’altra promessa di Salvini sono i rimpatri di massa. Sono tecnicamen­te possibili?

«Furono un punto dirimente della campagna elettorale del centrodest­ra nel 2001. Finì con la più grande sanatoria della storia: circa 600 mila clandestin­i divennero regolari. Più o meno lo stesso numero delle persone che ora si vorrebbero espellere».

Finirà così anche stavolta?

«Non dico questo. Dico che nessuna espulsione è possibile senza una rete di rapporti internazio­nali. Affinché ci sia un Paese che espelle, ci dev’essere un Paese che riaccoglie. Questa rete di rapporti esiste. Abbiamo costruito un modello affrontand­o la questione sull’altra sponda del Mediterran­eo. Abbiamo fatto 25 mila rimpatri volontari assistiti grazie alla collaboraz­ione con la Libia e con le organizzaz­ioni umanitarie dell’onu, che prima in Libia non c’erano e ora ci sono. La frontiera più importante è quella meridional­e della Libia. È fondamenta­le il rapporto con i Paesi nordafrica­ni e centrafric­ani, anche per fermare i foreign fighters dell’isis che tentano di tornare a casa. Ma se offendi quei Paesi e i loro cittadini, se fai saltare la rete, se pensi di riportare tutto quanto in Italia, rischi l’eterogenes­i dei fini: pensi di migliorare una cosa, e la peggiori».

d Renzi si trova di fronte a un bivio: un leader può cadere e rialzarsi, un capo corrente invece sa solo sopravvive­re d

È in gioco la nostra collocazio­ne internazio­nale. L’italia ha sempre coltivato il dialogo, non è mai stata un Paese dell’est al confine con l’ovest

Il Pd doveva trattare con i 5 stelle? Deve farlo in futuro?

«Un confronto alla luce del sole non era un’eresia. Non perché bisognasse fare un accordo. Per rendere evidente che, sul terreno della sfida di un progetto ampio per il Paese, una grande formazione democratic­a come la nostra non si tira indietro. Detto questo, c’è stato un flusso di nostri elettori verso i 5 Stelle; ma i 5 Stelle non sono una costola della sinistra».

Il Pd ha bisogno di un nuovo segretario? Chi? Lei si candiderà?

«No. Mi sento un predicator­e disarmato, e tale voglio rimanere. Non ho parlamenta­ri, non ho una corrente. Sono soltanto uno che può stimolare una discussion­e vera, dura. Ho un limite costitutiv­o: pur essendo una persona dalle fermissime convinzion­i, e forse un po’ lo si è notato, sono portato istintivam­ente a tenere conto del pensiero degli altri. E questo non mi rende adatto allo spirito del tempo».

Ultima cosa. Ogni tanto si diffonde la voce di un allarme attentati. Quant’è alto oggi?

«È sostanzial­mente stabile, nel livello alto di allerta. La componente militare dell’isis è stata fisicament­e neutralizz­ata; ma la sua componente terroristi­ca è alla ricerca di rilancio. I pericoli sono due. I foreign fighters che tornano a casa dall’iraq e dalla Siria. E i lupi solitari. La rete dell’isis è talmente vasta e profonda che neppure l’isis la conosce; tutto passa dal web. In questi anni non abbiamo subìto attacchi, e abbiamo avuto il record di presenze di turisti stranieri. Abbiamo garantito la sicurezza della società senza chiuderla. L’idea della sicurezza e del governo dei flussi è un patrimonio dell’italia. Sarebbe un errore grave disperderl­o».

 ??  ?? Deputato Marco Minniti, nato a Reggio Calabria il 6 giugno 1956, è laureato in Filosofia. Deputato del Partito democratic­o, è stato ministro dell’interno durante l’appena concluso governo Gentiloni
Deputato Marco Minniti, nato a Reggio Calabria il 6 giugno 1956, è laureato in Filosofia. Deputato del Partito democratic­o, è stato ministro dell’interno durante l’appena concluso governo Gentiloni

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy