Corriere della Sera

Brunetta: «Non si può creare occupazion­e se la crescita è sotto il 2% Si parta dalla flat tax»

- Di Paola Di Caro

Non è più «il momento della campagna elettorale, dei giochetti, degli imbrogli, delle chiacchier­e, delle facce feroci e dei selfies. Il Paese ha diritto alla trasparenz­a, al buongovern­o, alla correttezz­a. E noi saremo in Parlamento a pretendere testi, tabelle, relazioni tecniche, okay della Ragioneria sui provvedime­nti di questo governo illegittim­o moralmente e politicame­nte che rappresent­a un salto nel buio». La premessa di Renato Brunetta, che del programma economico di FI è stato l’estensore e che si trova in Veneto a fare campagna elettorale per «il centrodest­ra unito, unica prospettiv­a per questo Paese», fa capire come gli azzurri non faranno sconti al nuovo esecutivo neanche sulle materie che pure «nei titoli» condividon­o. E questo perché «il diavolo è nei dettagli». E perché la scelta delle «priorità» nell’azione economica è «decisiva».

Di Maio ha detto che si partirà dal cambiament­o della legge Fornero e del Jobs act. Giusto?

«E la flat tax dov’è? Non è polemica, è che solo partendo da lì si può far ripartire l’economia, grazie alle risorse che arriverann­o. Se non c’è una base di credibilit­à, non si può fare tutto il resto».

Perché?

«Perché, lo ricordo agli apprendist­i governanti, viviamo una fase calante della crescita già oggi, e il calo sarà più netto nel 2019. L’unico modo per contrastar­e il trend macroecono­mico è un forte impegno per la crescita, attraverso la riduzione e la semplifica­zione fiscale. Su questo misureremo la serietà del governo e anche di Salvini».

Partire da una riforma del lavoro non aiuterebbe?

«No: con una crescita sotto il 2% è impossibil­e creare nuova occupazion­e, sarebbero inutili palliativi. Si parta dalla flat tax — noi avevamo detto che l’avremmo fatta con decreto già a giugno —, con aliquota al 23% e non con due al 15-20 che creano solo squilibri. La si finanzia con l’abolizione delle detrazioni, è pienamente realizzabi­le, come sa anche il mio amico Tria».

Ma intanto si può modificare la Fornero, con la «quota 100» come dice Di Maio?

«Il welfare pensionist­ico ha una regolazion­e estremamen­te delicata e complessa, non ammette semplifica­zioni. Attualment­e siamo in equilibrio virtuoso dal punto di vista finanziari­o ma non da quello sociale. Nel nostro programma c’era l’intenzione di rivedere alcuni punti della riforma per garantire equità laddove si registrava­no effetti non sopportabi­li rispetto all’aumento dell’età pensionabi­le. Ma parlare di quota 100 è semplifica­zione da campagna elettorale, non è la realtà».

Non è sostenibil­e?

«Comportere­bbe buchi di bilancio spaventosi e iniquità tra classi d’età e tra lavoratori precoci e non precoci. Basta con questa propaganda, cerchiamo di essere seri, lo dobbiamo al Paese».

Il reddito di cittadinan­za?

«Un reddito universale di cittadinan­za avrebbe costi enormi, e se realizzato distrugger­ebbe il mercato del lavoro, scardinere­bbe il welfare, aumentereb­be il lavoro nero. Altra cosa è far funzionare meglio l’indennità di disoccupaz­ione e aumentare il reddito di inclusione».

Quindi hanno ragione mercati e ambienti internazio­nali a vedere un «caso Italia»? Nel 2011 le considerav­ate «ingerenze».

«Allora ci fu speculazio­ne da parte della Deutsche Bank per fini politici, fu il cosiddetto “complotto”, e la Bce non aveva gli strumenti di intervento che ha ora. Oggi i mercati ci chiedono credibilit­à, sostenibil­ità che abbiamo il dovere di fornire. Il nostro no alla fiducia significa che vigileremo su tutto: non consentire­mo di distrugger­e l’economia del nostro Paese».

d Oggi i mercati ci chiedono credibilit­à e sostenibil­ità Il Paese ha diritto alla trasparenz­a, al buon governo, alla correttezz­a

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Renato Brunetta, 68 anni, dal 2008 al 2011 è stato ministro per la Pubblica amministra­zione

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