Brunetta: «Non si può creare occupazione se la crescita è sotto il 2% Si parta dalla flat tax»
Non è più «il momento della campagna elettorale, dei giochetti, degli imbrogli, delle chiacchiere, delle facce feroci e dei selfies. Il Paese ha diritto alla trasparenza, al buongoverno, alla correttezza. E noi saremo in Parlamento a pretendere testi, tabelle, relazioni tecniche, okay della Ragioneria sui provvedimenti di questo governo illegittimo moralmente e politicamente che rappresenta un salto nel buio». La premessa di Renato Brunetta, che del programma economico di FI è stato l’estensore e che si trova in Veneto a fare campagna elettorale per «il centrodestra unito, unica prospettiva per questo Paese», fa capire come gli azzurri non faranno sconti al nuovo esecutivo neanche sulle materie che pure «nei titoli» condividono. E questo perché «il diavolo è nei dettagli». E perché la scelta delle «priorità» nell’azione economica è «decisiva».
Di Maio ha detto che si partirà dal cambiamento della legge Fornero e del Jobs act. Giusto?
«E la flat tax dov’è? Non è polemica, è che solo partendo da lì si può far ripartire l’economia, grazie alle risorse che arriveranno. Se non c’è una base di credibilità, non si può fare tutto il resto».
Perché?
«Perché, lo ricordo agli apprendisti governanti, viviamo una fase calante della crescita già oggi, e il calo sarà più netto nel 2019. L’unico modo per contrastare il trend macroeconomico è un forte impegno per la crescita, attraverso la riduzione e la semplificazione fiscale. Su questo misureremo la serietà del governo e anche di Salvini».
Partire da una riforma del lavoro non aiuterebbe?
«No: con una crescita sotto il 2% è impossibile creare nuova occupazione, sarebbero inutili palliativi. Si parta dalla flat tax — noi avevamo detto che l’avremmo fatta con decreto già a giugno —, con aliquota al 23% e non con due al 15-20 che creano solo squilibri. La si finanzia con l’abolizione delle detrazioni, è pienamente realizzabile, come sa anche il mio amico Tria».
Ma intanto si può modificare la Fornero, con la «quota 100» come dice Di Maio?
«Il welfare pensionistico ha una regolazione estremamente delicata e complessa, non ammette semplificazioni. Attualmente siamo in equilibrio virtuoso dal punto di vista finanziario ma non da quello sociale. Nel nostro programma c’era l’intenzione di rivedere alcuni punti della riforma per garantire equità laddove si registravano effetti non sopportabili rispetto all’aumento dell’età pensionabile. Ma parlare di quota 100 è semplificazione da campagna elettorale, non è la realtà».
Non è sostenibile?
«Comporterebbe buchi di bilancio spaventosi e iniquità tra classi d’età e tra lavoratori precoci e non precoci. Basta con questa propaganda, cerchiamo di essere seri, lo dobbiamo al Paese».
Il reddito di cittadinanza?
«Un reddito universale di cittadinanza avrebbe costi enormi, e se realizzato distruggerebbe il mercato del lavoro, scardinerebbe il welfare, aumenterebbe il lavoro nero. Altra cosa è far funzionare meglio l’indennità di disoccupazione e aumentare il reddito di inclusione».
Quindi hanno ragione mercati e ambienti internazionali a vedere un «caso Italia»? Nel 2011 le consideravate «ingerenze».
«Allora ci fu speculazione da parte della Deutsche Bank per fini politici, fu il cosiddetto “complotto”, e la Bce non aveva gli strumenti di intervento che ha ora. Oggi i mercati ci chiedono credibilità, sostenibilità che abbiamo il dovere di fornire. Il nostro no alla fiducia significa che vigileremo su tutto: non consentiremo di distruggere l’economia del nostro Paese».
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