Corriere della Sera

Dalle scelte per il cda Rai un primo test di «svolta»

- Di Paolo Conti

La coincidenz­a è tecnicamen­te perfetta. Il governo Conte si è appena insediato e il 30 giugno prossimo scadrà il Consiglio di amministra­zione Rai presieduto da Monica Maggioni con la direzione generale di Mario Orfeo. Il 7 maggio è stato approvato, correttame­nte nei tempi, il bilancio 2017 con un utile di 14,3 milioni di euro. Intanto, il 31 maggio sono scaduti i termini, aperti il 30 aprile, per depositare in Parlamento le candidatur­e per il futuro Consiglio a sette membri, con le nuove regole: due eletti dalla Camera, due dal Senato, due designati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministero dell’economia (azionista di maggioranz­a assoluta della Rai) e uno eletto dall’assemblea dei dipendenti Rai. Un governo nuovo di zecca che deve indicare subito i futuri vertici della tv pubblica: si dice da decenni che la Rai è lo specchio della politica italiana, e stavolta ci sono persino i tempi ideali. La posta in gioco per il Movimento 5 Stelle e la Lega è alta: dovranno dimostrare nei fatti, dopo anni di polemiche con viale Mazzini, che il servizio pubblico non va politicame­nte occupato, che la lottizzazi­one deve essere archiviata per sempre, che l’essenziale è badare alla qualità, alla serietà, agli ascolti, ai bilanci, alla libertà di espression­e. Lo sappiamo, un conto è contestare dall’opposizion­e, altra faccenda è governare e decidere. Ma la Rai rappresent­a un eloquente termometro per misurare le intenzioni del nuovo esecutivo: verranno scelti uomini e donne di «sicuro affidament­o», magari pronti a qualche resa dei conti con dirigenti e conduttori, o si opterà per profession­isti indipenden­ti che dovranno rispondere solo agli interessi di un bene collettivo quale è, piaccia o meno, la Rai? Domanda legittima, visto che gli italiani pagano il canone.

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