Dalle scelte per il cda Rai un primo test di «svolta»
La coincidenza è tecnicamente perfetta. Il governo Conte si è appena insediato e il 30 giugno prossimo scadrà il Consiglio di amministrazione Rai presieduto da Monica Maggioni con la direzione generale di Mario Orfeo. Il 7 maggio è stato approvato, correttamente nei tempi, il bilancio 2017 con un utile di 14,3 milioni di euro. Intanto, il 31 maggio sono scaduti i termini, aperti il 30 aprile, per depositare in Parlamento le candidature per il futuro Consiglio a sette membri, con le nuove regole: due eletti dalla Camera, due dal Senato, due designati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministero dell’economia (azionista di maggioranza assoluta della Rai) e uno eletto dall’assemblea dei dipendenti Rai. Un governo nuovo di zecca che deve indicare subito i futuri vertici della tv pubblica: si dice da decenni che la Rai è lo specchio della politica italiana, e stavolta ci sono persino i tempi ideali. La posta in gioco per il Movimento 5 Stelle e la Lega è alta: dovranno dimostrare nei fatti, dopo anni di polemiche con viale Mazzini, che il servizio pubblico non va politicamente occupato, che la lottizzazione deve essere archiviata per sempre, che l’essenziale è badare alla qualità, alla serietà, agli ascolti, ai bilanci, alla libertà di espressione. Lo sappiamo, un conto è contestare dall’opposizione, altra faccenda è governare e decidere. Ma la Rai rappresenta un eloquente termometro per misurare le intenzioni del nuovo esecutivo: verranno scelti uomini e donne di «sicuro affidamento», magari pronti a qualche resa dei conti con dirigenti e conduttori, o si opterà per professionisti indipendenti che dovranno rispondere solo agli interessi di un bene collettivo quale è, piaccia o meno, la Rai? Domanda legittima, visto che gli italiani pagano il canone.