Washington lavora a un vertice con Putin
Viaggi e telefonate preparatorie. La portavoce di Trump conferma. I temi sul tavolo: Iran, Siria, spie
WASHINGTON Diplomazie al lavoro per organizzare un vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin, scrive il Wall Street Journal, sorprendendo un po’ tutti. Secondo il quotidiano l’ambasciatore statunitense a Mosca, Jon Huntsman, sarebbe di recente rientrato a Washington per riferire sui preparativi in corso da diverse settimane. Sarah Sanders, portavoce della Casa Bianca, ha confermato sostanzialmente le confidenze di Yuri Ushakov, consigliere di Putin: il 20 marzo scorso, Trump telefonò al presidente russo; si congratulò per la sua rielezione e, con l’occasione, lo invitò negli Usa. «I due leader hanno discusso di un meeting bilaterale da tenersi in “un futuro non lontano”, ipotizzando diverse sedi, tra cui la Casa Bianca», ha detto Sanders nel briefing con i giornalisti.
Trump e Putin si sono più volte scambiati segnali di intesa personale e si sono già incontrati due volte: il 6 luglio del 2017 a margine del G20 in Germania e poi, fugacemente al summit dell’apec, l’11 novembre 2017 in Vietnam. Il calendario, peraltro, prevede un’altra opportunità il 30 novembre e il 1° dicembre al vertice dei capi di Stato del G20, a Buenos Aires.
Con l’arrivo di Mike Pompeo al Dipartimento di Stato, la politica estera Usa appare più dinamica. Linea dura, ma anche apertura al negoziato. Una strategia che vale per la Corea del Nord, per la Cina e anche per la Russia. Putin è il crocevia dei dossier più preoccupanti: Ucraina ed Europa, certo, ma soprattutto Medio Oriente, che significa sicurezza di Israele, difesa dell’arabia Saudita e degli altri alleati arabi. Il presidente russo appoggia Bashar al Assad e il nemico numero uno dell’amministrazione Usa: l’iran. Trump e Pompeo vogliono convincere Putin ad arginare «le minacce» di Teheran, applicando lo schema adottato con il cinese Xi Jinping e il dittatore nordcoreano Kim Jong-un.
Ma il contesto è pessimo: i rapporti tra Stati Uniti e Russia sono al minimo storico dalla fine della Guerra Fredda. Nella capitale americana raccontano che i contatti tra il Dipartimento di Stato e il nuovo ambasciatore russo, Anatoly Antonov, siano praticamente inesistenti. Il ministro del Tesoro, Steven Mnuchin, ha già adottato due round di sanzioni: il 15 marzo scorso e poi il 6 aprile, quando furono colpiti sette oligarchi russi, tra i quali Kirill Shamalov, ex genero di Vladimir Putin, e 17 «alti funzionari» di Mosca, compreso Alexei Miller, l’influente boss di Gazprom, l’azienda chiave del gas e del petrolio.
I servizi segreti al completo accusano Putin di aver interferito nelle elezioni presidenziali del 2016 e di continuare a minacciare le infrastrutture vitali degli Stati Uniti. Il super procuratore Robert Mueller sta indagando se non vi sia stata collusione tra il comitato elettorale di Trump e il Cremlino. Infine l’ostilità contro la Russia (e contro l’iran) è il sentimento viscerale che compatta democratici e repubblicani al Congresso.