«Il genitore non dia i soldi allo studente fuoricorso»
PADOVA Una causa per «vile denaro» vista da una parte. La rivincita di un figlio «verso un padre che non c’è stato», vista dall’altra. A chiedersi cosa possa spingere un uomo alla soglia dei trent’anni a pretendere 900 euro di paghetta da papà, ne possono venire in mente tante. «Ma qui di sociale non c’era nulla» spiega l’avvocato Stefano Marrone, difensore dell’anziano genitore, dopo che il tribunale di Padova ha dato ragione al suo assistito. Il padre non ha più l’obbligo di mantenere il figlio perché a 29 anni bisogna procurarsi da vivere autonomamente, hanno stabilito i giudici ribaltando la sentenza precedente.
«A un certo punto bisogna decidere qual è lo spartiacque — spiega il legale —. Giusto è che a un certo punto si debba provvedere a se stessi. Sono soddisfatto che dopo 4 anni si stato riconosciuto che è bene che un uomo adulto si tiri su le maniche senza dover pesare sul genitore». Genitore, va ricordato, di un figlio non subito riconosciuto. È dovuto intervenire l’esame del Dna per riconsegnare dignità filiale al giovane, nato dalla terza compagna dell’uomo. Con il quale, conferma anche il suo legale, i rapporti non sono stati idilliaci fin da subito.
Il peggio è cominciato, però, quando il ragazzo, allora 25enne, ha deciso di affrontare il padre in sede legale. E i presupposti per batter cassa pare ci fossero. Perché il papà, ora quasi novantenne, è un imprenditore di successo della Riviera del Brenta. Il giovane chiese 230 mila euro per l’università e il master. E il tribunale all’inizio gli diede parzialmente ragione, costringendo l’anziano ad assicurargli 300 euro al mense. Ma il giovane si rivolse poi di nuovo ai giudici nel tentativo di triplicare la somma. «A quel punto — ricostruisce Marrone — io ho chiesto invece di eliminarla. Ed è ciò che è stato fatto». E il tribunale di Padova, infatti, ha ribaltato la sentenza del 2014. «Eppure sarebbe bastato uno solo degli orologi della collezione del padre milionario per pagargli l’università. E soprattutto che si presentasse a una sola udienza per conoscere il ragazzo, perché è la vera cosa in cui lui sperava», capovolge le carte l’ex avvocato del trentenne, Patrizia Bissi. E il figlio, nella sua descrizione, si trasforma da bamboccione a ragazzo ferito in cerca del papà, «un ragazzo che guadagnava 900 euro come runner delle pizze». È una causa cominciata sulla base di un diritto umano, ci tiene a dire: «I 300 euro dell’assegno non li ha mai ricevuti, perché l’avvocato ha impugnato la causa. E noi poi abbiamo rinunciato all’incarico perché il figlio non ce la faceva più per disperazione e sfiducia. Non so se poi si sia procurato un avvocato d’ufficio. Ma quello che voleva era di vedere almeno una volta il padre».